di Gionata Chatillard
La coalizione internazionale montata in fretta e furia dagli Stati Uniti per proteggere il traffico commerciale nel Mar Rosso non sembra per il momento aver riscosso il successo sperato da Washington. L’invito è stato ufficialmente esteso a una quarantina di paesi, ma di questi solo la metà avrebbe accettato di far parte di un contingente che il Pentagono ha deciso di battezzare col pomposo nome di “Guardiano della Prosperità”.
La sensazione è che diversi Governi non sappiano più che scuse trovare per evitare di assecondare le manovre militari annunciate ad Washington. Non solo perché circa la metà delle nazioni coinvolte ha preferito mantenere l’anonimato, quasi si vergognasse a prendere parte all’operazione. Ma anche perché fra i 9 paesi che hanno dichiarato pubblicamente la loro adesione sono subito sorti distinguo e precisazioni di varia natura. Se Madrid ha negato il proprio coinvolgimento diretto dicendo di voler discutere della questione in sede comunitaria, Roma ha invece tenuto a precisare che la nave messa a disposizione sarebbe in realtà rimasta sotto comando italiano. A ciò si aggiungono le reticenze della Germania, che per partecipare all’iniziativa dovrebbe scavalcare la propria costituzione, e dell’Australia, che pur aderendo alla chiamata statunitense ha chiarito di non voler inviare sul Mar Rosso né navi né aerei militari, dal momento che il Medio Oriente non rientrerebbe fra le sue “priorità strategiche”.
“Ogni paese contribuirà con quello che può”, hanno così sottolineato da Washington. Facendo di necessità virtù, gli Stati Uniti hanno anche deciso di rispolverare per l’occasione lo slogan della “Coalizione dei volenterosi”, già usato nel 2003 per giustificare l’invasione dell’Iraq. Anche questa volta, come allora, per il Pentagono si tratta più di far numero che di ricevere un aiuto concreto dai membri dell’alleanza.
Per la Casa Bianca, tuttavia, le assenze di maggior peso non sembrano essere quelle occidentali, quanto piuttosto quelle dei paesi arabi. L’unico di questi che ha aderito all’operazione è infatti il Bahrein, che da anni ospita la 5ª flotta della Marina statunitense. Tutti gli altri hanno risposto picche, a cominciare dall’Egitto, che dovrebbe essere il primo interessato a salvaguardare il traffico commerciale nel Canale di Suez.
La realtà è che sui Governi dei paesi arabi pesano parecchio le opinioni pubbliche interne, che spesso vedono negli attacchi dello Yemen alle navi israeliani una delle poche azioni concrete messe in atto fino a questo momento per fermare l’offensiva israeliana su Gaza. Persino paesi come gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita, che negli ultimi anni hanno guidato una coalizione militare contro lo stesso Yemen, preferiscono adesso declinare l’invito di Washington. Un’ulteriore prova che Riyad, dopo la mediazione cinese, sembra più che mai intenzionata a voler uscire definitivamente da quel conflitto. Per farle cambiare idea, si è appena saputo che gli Stati Uniti avrebbero deciso di allentare le restrizioni imposte 2 anni fa sulla fornitura di armi all’Arabia Saudita. Uno zuccherino che difficilmente riuscirà a riportare Riyad all’ovile atlantista, né a dare maggiore credibilità all’operazione statunitense nel Mar Rosso.