di Margherita Furlan ed Elisa Angelone
Oggi, 2 maggio 2023, ricorre il nono anniversario del massacro della Casa dei Sindacati di Odessa.
Contro il colpo di Stato avvenuto a Kiev pochi mesi prima stavano manifestando le 48 persone ufficialmente morte – in realtà sono circa un centinaio – all’interno della Casa dei sindacati, dove sono state brutalmente assassinate dai neonazisti ucraini che non solo hanno dato alle fiamme l’edificio, ma si sono accaniti sui manifestanti anche con armi da taglio. Ci fu chi, come una donna incinta, morì per i colpi di queste ultime, chi intossicato dal fumo o arso vivo e chi dopo essersi gettato dalle finestre del palazzo davanti al quale era stata allestita da settimane una tendopoli anti-Maidan. Accampamento preso di mira dai gruppi neonazisti, tanto che la Casa dei sindacati voleva essere per i manifestanti anti-Maidan un rifugio, che, tuttavia, li ha intrappolati nel vortice di una violenza inaudita. Vittima più giovane un ragazzo di appena 17 anni. Oltre 250 i feriti.
Quella di Giulietto Chiesa fu una delle pochissime voci in Occidente a denunciare apertamente la strage, fin da subito travisata invece dai principali media, per i quali le morti del 2 maggio 2014 sarebbero da attribuire ancora oggi al solo incendio.
I responsabili delle atrocità restano ad oggi impuniti. Il ministero degli Esteri russo, infatti, ricorda come nessuno indagò mai a fondo l’accaduto. “Le autorità di Kiev trovarono semplicemente un capro espiatorio nella figura dell’ex capo della polizia di pubblica sicurezza ucraino per salvare le apparenze”, incuranti del fatto che siano disponibili a chiunque video e foto che testimoniano come realmente sono andate le cose. Maria Zakharova non ha mancato di fare un parallelismo con la strage del villaggio bielorusso di Khatyn’ ad opera degli squadroni nazisti di Stepan Bandera nel 1943.
Eppure, come ricorda la portavoce degli Esteri russa, “molti di coloro che [a Odessa] sono stati ripresi dalle telecamere e che potevano quindi essere identificati in quanto coinvolti nel massacro non solo sono rimasti a piede libero, ma sono addirittura diventati personaggi pubblici in Ucraina, dove lo Stato si erge a “fiore all’occhiello della democrazia”. D’altra parte, questa è la “democrazia” funzionale agli scopi delle élite di Washington&alleati.
Oggi a Odessa i residenti locali, sfidando il divieto delle autorità, hanno voluto rendere omaggio alle vittime della strage depositando fiori davanti alla Casa dei sindacati. Secondo i media locali, lo spazio dove nove anni fa si trovava la tendopoli sarebbe ora sorvegliato dalla polizia.
A Mosca, invece, un migliaio di persone si è riunito davanti all’ambasciata ucraina depositando fiori e candele e ritratti delle vittime osservando un minuto di silenzio per le vittime di Odessa e del Donbass.
Donbass dove oggi, a nove anni di distanza, si continua a morire insieme alla diplomazia, alla verità e alla giustizia.