di Fabio Belli
Il Natale nel Medio Oriente è stato tutt’altro che tranquillo, con il verificarsi di vari episodi che potrebbero essere segnali per un allargamento del conflitto.
La sera del 23 dicembre 2023 la Turchia ha bombardato 29 obiettivi nel nord dell’Iraq e nel nord est della Siria. “Le operazioni aeree”, che hanno preso di mira grotte, rifugi, impianti petroliferi e magazzini, “sono state effettuate contro obiettivi terroristici”, si legge in una dichiarazione del ministero della Difesa turco. L’azione di Ankara è stata pianificata dopo che 12 soldati turchi erano stati uccisi dal Pkk nel Kurdistan iracheno.
Il giorno di Natale è avvenuta inoltre l’uccisione dell’alto consigliere delle Guardie Rivoluzionarie Iraniane, Sayyed Razi Mousavi. Secondo Teheran, la morte di Mousavi, tra gli uomini di Qassem Soleimani, è avvenuta per opera di uno dei soliti attacchi aerei israeliani nella periferia di Damasco, tramite tre missili che sono stati lanciati contro la casa dove alloggiava. “Questo atto è un segno della frustrazione e della debolezza del regime sionista nella regione, di cui certamente pagherà il prezzo”, ha dichiarato successivamente il presidente iraniano, Ebrahim Raisi. Anche Hamas ha condannato aspramente l’offensiva israeliana definendo l’omicidio di Mousavi come un crimine codardo e una grave violazione della sovranità della Siria.
Israele intanto continua a bombardare Libano, Siria e Cisgiordania come segno di rappresaglia e per il cosiddetto “diritto all’autodifesa”. Non a caso nell’unica pseudodemocrazia del Medio Oriente, il ministro della Difesa, Yoav Gallant, ha affermato che il suo esercito sta combattendo su sette fronti: Gaza, Libano, Siria, Israele, Iraq, Yemen e Iran.
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