di Gionata Chatillard
L’uscita della Georgia dai circuiti occidentali è ormai un dato di fatto, corroborato dall’ufficialità delle decisioni prese negli ultimi giorni a Bruxelles e Washington. Sul versante comunitario, è stata direttamente Tbilisi ad annunciare ieri il congelamento del processo di adesione all’Unione Europea. Non per sua volontà, ma perché così lo avrebbero deciso i Ventisette lo scorso giugno, ovvero solo pochi mesi dopo aver concesso alla Georgia lo status di candidato. Dinamica, questa, che ha avuto il suo inevitabile riflesso in ambito militare, con gli Stati Uniti che pochi giorni fa hanno annunciato la sospensione delle esercitazioni congiunte con il paese caucasico, a conferma del fatto che l’Unione Europea è ormai poco meno di un semplice braccio politico della NATO.
A motivare le decisioni occidentali sarebbero state, almeno in teoria, le ultime leggi promulgate dal Parlamento georgiano, in particolare quella sugli agenti stranieri e sulle politiche LGBT. In pratica, però, l’emarginazione di Tbilisi dettata da Washington e Bruxelles non è altro che una ritorsione per punire un paese che ha deciso di non piegarsi ai vincoli esterni. E che, come succede in questi casi, pagherà cara la sua scelta, dal momento che il congelamento del processo di adesione all’Unione Europea comporterà anche la sospensione dell’assistenza finanziaria dei Ventisette. Tradotto in cifre, Tbilisi dovrà rinunciare a decine di milioni di euro in aiuti economici, con inevitabili ripercussioni in settori come quello agricolo e industriale. Ma ciò che è peggio è che questo potrebbe essere solo l’inizio. A dirlo è la stessa diplomazia georgiana, che ha già dichiarato di temere l’introduzione di ulteriori sanzioni.
Le misure economiche, però, non sono l’obiettivo finale dell’Occidente, più che mai intenzionato a trascinare Tbilisi fra le sue fila con gli stessi metodi già utilizzati in Ucraina. Ovvero, con un colpo di Stato. A confermarlo non sono solo le manifestazioni degli ultimi mesi nel paese caucasico, che hanno visto scendere in piazza persino ministri occidentali, ma anche un rapporto dei servizi segreti di Mosca pubblicato ieri dalla stampa russa. Secondo quanto afferma il documento, Washington avrebbe già preparato una massiccia campagna di disinformazione per screditare Sogno Georgiano, partito attualmente al Governo e i cui esponenti principali sono già sotto sanzione. I funzionari statunitensi nell’ex repubblica sovietica avrebbero in questo senso già ordinato alle forze di opposizione di pianificare le proteste nella capitale prima delle elezioni parlamentari del prossimo 26 ottobre.
Sempre secondo queste informazioni, gli Stati Uniti farebbero affidamento sulla figura della presidente georgiana Salomé Zurabishvili, incaricandola di attribuire alla Russia tutti i mali del paese in modo da incitare sentimenti anti governativi fra la popolazione. La ciliegina sulla torta sarebbe poi l’omicidio premeditato di qualche manifestante. “Gli esperti statunitensi”, si legge nel rapporto dell’Intelligence russa, “sono d’altronde esperti in provocazioni di questo tipo”. Anche se, per arrivare a questa conclusione, non era probabilmente il caso di scomodare i servizi segreti. Bastava ricordare il Maidan ucraino di 10 anni fa, quando più di 100 persone furono uccise dai cecchini sull’altare di quella che a Washington e Bruxelles chiamano ancora “democrazia”.