di Fabio Belli
Il parlamento di Hong Kong ha approvato un disegno di legge sulla sicurezza nazionale interna, adempiendo a un obbligo costituzionale che fu accantonato nel 2003 a seguito di proteste di massa.
La legge, chiamata Articolo 23 e caldeggiata da Pechino, salvaguarda la sicurezza nazionale tramite 39 reati suddivisi in cinque categorie. Per quattro di esse, tradimento, insurrezione, incitamento all’ammutinamento delle forze armate cinesi e collusione con forze esterne per danneggiare le infrastrutture pubbliche, è previsto fino all’ergastolo, applicabile anche ai residenti al di fuori di Hong Kong.
L’Articolo 23 che, forse non a caso, sarà promulgato il prossimo 23 di marzo, consentirà a Pechino la concessione di maggiori poteri per reprimere il dissenso. Secondo l’opinione pubblica occidentale, l’approvazione della legge, avvenuta all’unanimità degli 89 deputati presenti, sarebbe stata possibile per la presenza di tutti i legislatori filo cinesi. Ma il portavoce del Ministero degli Esteri cinese Lin Jian ha affermato che “Il governo è estremamente determinato a salvaguardare la sovranità nazionale, la sicurezza e gli interessi di sviluppo, ad attuare la politica di ‘un Paese due sistemi’ e a opporsi a qualsiasi interferenza esterna negli affari di Hong Kong. Tutti gli attacchi e le calunnie non avranno mai successo e sono destinati a fallire”, ha concluso il portavoce.