di Margherita Furlan
Il disgelo del mondo arabo prosegue. Mentre una delegazione iraniana giunge in Arabia Saudita per la riapertura delle rispettive sedi diplomatiche, anche Siria e Tunisia riaprono le ambasciate. Gli Stati del Golfo discuteranno infatti venerdì del ritorno della Siria nella Lega Araba, da cui fu sospesa nel 2011. Il Medio Oriente nella costruzione di un nuovo mondo multipolare gioca un ruolo cruciale, perché da sempre ricco crocevia tra Europa, Asia e Africa. La Cina, a sua volta, ha in questa regione corroborato partnership strategiche, costruendo infrastrutture ed investendo nell’economia reale, non ha seminato caos e conflitti a caccia di gas e petrolio. Il vecchio consensus washingtoniano lascia dunque spazio a un nuovo ordine che nel futuro mira a difendere culture e patrimoni, anche da eventuali regimi sanzionatori. Ma il caos è oggi ancora padrone del mondo, nonostante i profitti economici guardino sempre più a Est, e per uscirne, secondo i vecchi dettami di Washington, occorre un’ultima guerra, quella del più forte. Il nuovo nemico è dunque servito ai grandi media, secondo cui Pechino starebbe per invadere l’isola di Taiwan, nonostante fino a pochi mesi fa la stessa Casa Bianca riconoscesse ufficialmente il principio internazionale di ‘Una sola Cina, due Sistemi’. Oggi, dopo la visita della presidente taiwanese negli Stati Uniti, Washington ha confermato che sono in corso colloqui per aiutare Taiwan ad aumentare la propria partecipazione nelle piattaforme dell’Onu (soprattutto all’Organizzazione Mondiale della Sanità). Un chiaro segnale, da parte degli USA, di ostilità verso Pechino, senza alcun tentativo di dialogo. Ancora una volta Washington, attorniata dai suoi Paesi vassalli, esclusa la Francia di Emmanuel Macron (per ora), preferisce la provocazione per poi urlare al lupo al lupo al mondo intero, tanto facilmente quanto in modo menzognero, con l’aiuto dei grandi media, e così accusare il vero e reale primo aggredito di crimini contro l’umanità. Il clima è sempre più burrascoso quindi tra Washington e Pechino. Quest’ultima però sviluppa sorniona capacità di gestire le relazioni internazionali. Con un punto fermo: come Mosca non può stare a guardare in caso di attacco alla Crimea, così Pechino non si lascerà scappare Taiwan tanto facilmente, pur senza necessariamente arrivare a manovre militari. Nei “mari tempestosi” in cui si sarebbe cacciata Taiwan, Pechino ha lanciato una boa e ha notificato la restrizione dei voli a nord dell’isola per tre giorni, tra il 16 e il 18 aprile. Motivo: il lancio di uno o più satelliti da parte dell’ente spaziale cinese. A Nord di Taiwan passa circa il 60% dei voli commerciali nei cieli dell’Asia, sulla rotta tra nord est e sud est, oltre che il traffico aereo tra Taiwan e Giappone, Corea del Sud e Nord America. Una no-fly zone di tutto rispetto quindi, ma Pechino ha subito rettificato: il blocco dei voli sarà limitato a 27 minuti nella mattinata di domenica 16 aprile, per evitare il pericolo della ricaduta di detriti del razzo che dovrà portare in orbita il satellite. Per ora però i detriti visibili a ciel sereno sono solo quelli del dollaro, oramai, da solo, chiuso in terapia intensiva. Sarà stato l’effetto pandemia.