di Gionata Chatillard
Se la guerra del futuro sarà ibrida, è possibile che le battaglie più importanti non si combattano più nei cieli o nelle trincee, ma nei biolaboratori. Non a caso, negli ultimi giorni Pechino e Washington si stanno accusando reciprocamente di aver raccolto dati genomici di determinati gruppi etnici con l’obiettivo di sviluppare armi volte a colpirli.
Ad aprire le danze ci ha pensato Antony Blinken. Il capo della diplomazia statunitense ha infatti accusato la Cina di voler usare la ricerca biologica per prendere di mira le minoranze etniche del paese asiatico, come la popolazione uigura dello Xinjiang o i tibetani dell’Himalaya. Blinken ha parlato in questo senso di una presunta raccolta a tappeto di campioni di DNA realizzata dalle autorità della Repubblica Popolare.
A stretto giro di posta è poi arrivata la replica del Governo cinese, che ha accusato Washington di mettere in circolazione fake news. Chi invece starebbe raccogliendo enormi quantità di dati genomici sarebbero invece, secondo Pechino, proprio gli Stati Uniti. A dirlo è stato il portavoce del Ministero degli Esteri, Wang Wenbin, che ha dichiarato che l’Amministrazione Biden starebbe accumulando campioni di DNA di cittadini cinesi, europei e arabi.
Dal Pentagono è arrivata subito la smentita, ma non è la prima volta che Washington si vede costretto a rimandare al mittente accuse di questo tipo. Da un lato ci sono infatti le decine di biolaboratori venuti alla luce in Ucraina e finanziati, almeno secondo il Cremlino, proprio dal Dipartimento della Difesa statunitense. Ma lo stesso Wang ha ricordato come già nel 2017 Mosca avesse puntato il dito contro quella che Vladimir Putin aveva definito come una raccolta “sistematica” di DNA russo da parte di agenti stranieri che operavano sotto la copertura di diverse ONG. Motivo per cui il portavoce del Ministero degli Esteri cinese ha affermato che è ormai “abbastanza chiaro chi è che in realtà stia raccogliendo informazioni genomiche per scopi segreti”.