di Elisa Angelone
Dopo le polemiche sul nuovo missile ipersonico presentato la scorsa settimana dall’Iran, un rapporto uscito ieri, 12 giugno, sul WSJ evidenzia il presunto coinvolgimento della Cina nella fabbricazione dei droni iraniani usati dalla Russia in Ucraina. Sulla scia del conflitto in corso, Mosca e Teheran hanno infatti ulteriormente rafforzato la cooperazione in ambito militare e hanno firmato, l’anno scorso, un accordo per trasferire la produzione di droni iraniani sul territorio russo. Questa collaborazione continua a suscitare ipocrita indignazione in Occidente, che mentre a sua volta rifornisce di armi il regime di Kiev, si appella all’Iran affinché interrompa il sostegno militare alla Russia.
Stando a quanto riferito dal quotidiano statunitense, le indagini sui resti di un drone abbattuto in Ucraina ad aprile dimostrerebbero che un componente del velivolo è di fabbricazione cinese. Si tratterebbe di un convertitore di tensione presumibilmente prodotto in Cina a gennaio di quest’anno e successivamente spedito e integrato in Iran. Un processo, questo, che agli occhi degli USA è indicativo non solo della velocità con cui Teheran è in grado di fabbricare e spedire i propri droni in Russia, ma anche dell’inefficacia delle sanzioni occidentali nel fermare il flusso di componenti dalla Cina verso la Repubblica islamica. Flusso che contribuirebbe anche al famigerato programma missilistico iraniano, non a caso oggetto, insieme a entità cinesi, di nuove restrizioni introdotte proprio la scorsa settimana.
Il tutto mentre parallelamente l’ambasciatore cinese in Iran dichiarava alla stampa iraniana che le relazioni tra Pechino e Teheran sono destinate a crescere, soprattutto nell’ambito dello storico accordo firmato nel 2021 e della durata di 25 anni che, per il diplomatico, non farà che “rafforzare l’alleanza economica e politica” fra le due nazioni.