di Margherita Furlan e Fabio Belli
L’alto comandante di Hezbollah, Ali Hussein Barji, è stato ucciso oggi, 9 gennaio, in un attacco aereo israeliano nel sud del Libano, pochi istanti prima del funerale del comandante Wissam al-Tawil, ucciso ieri. L’azione indica un pericolo temuto: quello dei velivoli senza pilota, dato che il comandante era l’ufficiale responsabile dei droni di Hezbollah libanese.
Il movimento sciita – secondo alcune stime – ne avrebbe quasi 2mila, alcuni in versione “kamikaze” – che vengono fatti schiantare sull’obiettivo – e altri in grado di lanciare missili. «Un aumento della pressione sull’Iran è fondamentale e potrebbe impedire un’escalation regionale in ulteriori aree», ha sottolineato il ministro della Difesa israeliano Gallant.
Le Falangi di Hezbollah in Iraq hanno però affermato di essere pronte a dispiegare uomini in Libano in caso di un’offensiva militare israeliana contro gli Hezbollah libanesi. «Se il nemico (israeliano) pensa di commettere qualsiasi follia contro il Libano, gli iracheni saranno presenti sul campo di battaglia, in gran numero e ben equipaggiati.» «Non consentiremo a Israele o a nessun’altra entità di sfiorare i paesi che fanno parte dell’Asse della Resistenza», ha precisato un rappresentante di Hezbollah in Iraq in un comunicato televisivo.
A Teheran, nel frattempo, in occasione dell’anniversario della rivoluzione islamica del 1978, la guida suprema iraniana, Ayatollah Khamenei, ha ribadito che “la resistenza del popolo palestinese nella Striscia di Gaza ha frustrato sia gli Stati Uniti che Israele”, senza che Israele abbia raggiunto alcun obiettivo, nonostante una strage che dura da cento giorni. Per il leader iraniano i crimini compiuti dal governo israeliano verso i palestinesi rimarranno nella storia anche dopo che Tel Aviv sarà spazzata via dalla faccia della Terra. L’Ayatollah ha colto l’occasione per sottolineare che l’Iran eliminerà gli autori della carneficina di Kerman. Teheran ha oggi dato un ultimatum agli Stati Uniti in merito all’uccisione del generale Soleimani. “Se entro il 19 marzo prossimo non risponderanno, presenteremo la nostra denuncia presso la Corte internazionale dell’Aja”, ha dichiarato all’agenzia IRNA il vicepresidente per gli affari legali.
Mezzi quantomeno controversi per il cosiddetto Occidente collettivo. Ne sono riprova le dichiarazioni del presidente israeliano, Isaac Herzog, che in un incontro con il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, ha definito “orribile e ridicola” la causa intentata dal Sudafrica presso la Corte penale internazionale, che accusa Israele di genocidio nella Striscia di Gaza. Mentre l’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, Gilad Erdan, in Assemblea Generale ha puntato ancora il dito contro l’Onu perché «continua a concentrarsi sul cessate il fuoco a Gaza e sugli aiuti e non sugli ostaggi».
L’ambasciatore israeliano ha poi azzardato una descrizione di doppio standard nella valutazione dei fatti. «Ne hanno parlato anche i media americani, ma qui, nell’organizzazione che dovrebbe difendere i diritti umani? Silenzio. Le donne israeliane non sono donne, i bambini israeliani non sono bambini», ha precisato, accusando le Nazioni Unite di «vergognosa indifferenza». Dimenticando il genocidio che il suo paese sta perpetrando ai danni di un popolo, nel silenzio assordante del mondo che lascia fare nell’ignavia vigliacca che un giorno, forse, si specchierà (anche) nei suoi occhi.
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