di Domenico D’Amico
Gli anglo-americani dominano il mondo da tempo, e dalla seconda guerra mondiale sono abituati a un dominio quasi incontrastato, con la debole eccezione dell’URSS se si vuole considerare all’altezza del loro dominio la sfida sovietica, che comunque era una sfida da guerra “fredda” appunto, solo episodicamente calda.
Da più di trent’anni anche questo nemico si è dissolto, e il dominio è stato finora pressoché totale.
Nonostante ciò, il budget militare americano è stato sempre crescente così come la voglia di dominio, coprendo costantemente quasi per metà l’intera spesa militare annua di tutto il mondo: l’appetito vien mangiando, recita l’adagio. E i fronti aperti dagli anni novanta in poi, dall’Iraq ai Balcani, dall’Afghanistan di nuovo all’Iraq, dalle “primavere arabe” a piazza Maidan a Kiev dimostrano come la volontà di dominare resti non solo immutata, ma abbia anche una malcelata voglia di stravincere.
A questa evidente aspirazione, sempre più sfacciata, che sembra volersi concretizzare in un altro secolo americano, qualcuno ha cominciato a rispondere da qualche anno, con le parole e con i fatti: Russia e Cina, fino a pochi anni fa partner più o meno disponibili, appaiono essere le più attive in questo senso, con una pletora di altri Paesi che in ordine sparso sembra volersi accodare: Iran, Sudafrica, Brasile, Venezuela, Siria e ultimamente Arabia Saudita e Argentina e altri.
Nel report della commissione del congresso americano di recente uscita, dall’evocativo titolo “America’s Strategic Posture”, gli Stati Uniti danno credito a questa che per loro è la più grande delle minacce: perdere il ruolo di guida del mondo. Nel documento sottolineano quanto sia importante dare un più consistente e adeguato budget sia alle forniture militari convenzionali sia a quelle nucleari: “l’evidenza dimostra – dice il report – che l’ordine internazionale guidato dagli Stati Uniti e i valori che esso sostiene sono messi a rischio dai regimi autoritari cinese e russo. Il rischio di un conflitto militare con queste grandi potenze è cresciuto e comporta il potenziale di una guerra nucleare”. Gli episodici ‘shutdown’ sul debito federale non preoccupano evidentemente la Commissione, anche in considerazione del fatto che già più volte il Congresso è andato anche oltre le richieste dell’amministrazione Biden sul fronte militare. Forte è poi il richiamo all’ordine verso gli alleati, ai quali è dedicato un intero capitolo: decisivo è che alzino il loro livello di spesa militare fino al 2 per cento, anche per dare beneficio – viene detto incidentalmente – alla bilancia commerciale americana: gran parte delle forniture ai vassalli provengono infatti proprio dagli Usa, che quindi dispongono e poi incassano, conservando infine anche il controllo sulle armi vendute.
Il fronte di guerra ucraino ha già innalzato molto il livello di spesa dei paesi Nato e nel report è latente ma chiara la soddisfazione per una bilancia commerciale in rapido miglioramento per gli Stati Uniti nei confronti dell’Unione Europea. Il fronte israelo-palestinese sembra in questo senso integrarsi perfettamente nella nuova ‘postura strategica’ americana per gli anni a venire: più spese militari per tutti, più vantaggi per l’economia americana, più risorse per affrontare la decisiva sfida sino-russa.