di Gionata Chatillard
Negli ultimi tempi Donald Trump ha preferito non parlare troppo di Ucraina, forse per evitare di esporsi eccessivamente in vista delle presidenziali di novembre. L’occasione, però, fa l’uomo ladro. O, in questo caso, falco. Durante un evento di raccolta fondi, l’ex inquilino della Casa Bianca avrebbe infatti vestito i panni del guerrafondaio, sostenendo che, se fosse dipeso da lui, avrebbe risposto all’invasione russa bombardando Mosca, e che lo stesso destino sarebbe toccato a Pechino nel caso in cui la Cina avesse invaso Taiwan.
Il condizionale è in questo caso d’obbligo, dal momento che queste dichiarazioni di Trump sono state rintracciate solo dai più attenti fra le righe di un articolo del Washington Post, il cui autore si è guardato bene dal virgolettare, lasciando ai lettori abbondanti margini di interpretazione. Rimane comunque il fatto che dall’ex presidente, almeno per il momento, non sembrano essere arrivate smentite, e che lo stesso Trump non è certo nuovo a giravolte di 180 in temi di politica internazionale.
Solo pochi mesi fa, il magnate newyorchese sembrava voler spingere Kiev a cedere definitivamente a Mosca il Donbass e la Crimea. In un’altra occasione, aveva poi detto che lui, la guerra in Ucraina l’avrebbe risolta in meno di un giorno. Tuttavia, alla luce di quanto riportato nelle ultime ore dal Washington Post, non si capisce se la soluzione rapida del conflitto tanto perorata da Trump passi dalla diplomazia o dalle bombe. Ciò su cui invece il candidato repubblicano è sempre stato chiaro, è che a preoccuparlo non è tanto il destino degli alleati europei o dell’Ucraina stessa, quanto piuttosto i soldi che gli statunitensi stanno spendendo in questa operazione.
Diversa è la questione cinese, dal momento che Trump -nonostante si sia detto “ottimo amico” di Xi Jinping- non ha comunque quasi mai riservato parole tenere nei confronti di Pechino, mostrandosi invece più che favorevole a intraprendere una guerra commerciale con il gigante asiatico. Posizione, questa, che non raggiunge comunque i livelli di radicalità assunti dall’ex presidente nei riguardi del conflitto israelo-palestinese, dove fin dall’inizio si è schierato apertamente a fianco del Governo di Benjamin Netanyahu.
Esattamente come Nikki Haley, ex rivale di Trump nella corsa alla Casa Bianca che, una volta ammessa la propria sconfitta alle primarie, ha iniziato a essere considerata dalla stampa a stelle e strisce come papabile per occupare un’eventuale vice-presidenza repubblicana. L’ex ambasciatrice all’ONU si trovava ieri in visita proprio in Israele, dove ha assicurato che l’attacco di Hamas dello scorso 7 ottobre sarebbe stato organizzato dall’Iran con l’aiuto dell’Intelligence russa. Il tutto prima di lasciarsi fotografare mentre con un pennarello scriveva parole di morte su un razzo. “Eliminali!”, recitava il messaggio dell’ex governatrice del South Carolina, condito con un inquietante cuoricino e rivolto non solo alle prossime vittime dell’Esercito israeliano, ma anche agli elettori repubblicani più legati alla corrente neocon, che ieri -grazie alle dichiarazioni di Trump e di Haley- saranno andati a letto più soddisfatti che mai.