di Margherita Furlan e Fabio Belli
“Ci saranno molti giorni difficili in arrivo, ma le forze israeliane schiacceranno i barbari di Hamas”. Queste le parole pronunciate dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu in una conferenza stampa congiunta con il segretario di Stato statunitense Antony Blinken che, dal canto suo, ha promesso il sostegno degli Stati Uniti a Israele “finché esisterà l’America” che tradotto significa fornitura di armi senza fine. Blinken ha anche affermato di essere andato in Israele non solo come segretario di stato americano, ma anche come ebreo etnico. I suoi nonni materni erano ebrei ungheresi, mentre i suoi nonni paterni erano ebrei ucraini. Suo nonno paterno, Maurice Henry, fu infatti fra i primi sostenitori di Israele, che contribuì a fondare l’American Palestine Institute commissionando all’epoca uno studio di fattibilità economica sulla creazione e sostenibilità di uno stato ebraico indipendente.
A Washington intanto il partito repubblicano ha intanto nominato il nuovo portavoce della Camera, Steve Scalise, che, come da manuale, ha subito garantito che gli Stati Uniti saranno sempre a fianco di Israele.
D’altronde, “il sostegno all’Ucraina non può continuare all’infinito”, ha fatto sapere il portavoce della sicurezza nazionale degli Stati Uniti, John Kirby, mentre, nello stesso momento, il Segretario Generale della NATO, Jens Stoltenberg, rassicurava il presidente ucraino Zelensky durante il vertice della NATO tenutosi a Bruxelles.
Stando però all’ ex agente della CIA e noto analista Larry Johnson, gli Stati Uniti starebbero rifornendo di armi sia l’una che l’altra parte delle due forze in guerra. Tuttavia, come di consueto, il controllo del Pentagono su dove finirà questa massa di armi, è pari a zero.
Intanto, prima dell’alba di oggi, 12 ottobre, alle ore 3.40 ora locale, Israele ha lanciato un altro attacco “su vasta scala” contro molteplici obiettivi di Hamas nella Striscia di Gaza, dove il bilancio sale a circa 1.400 morti, tra cui 9 membri delle Nazioni Unite, e 6.300 feriti. Il ministro della Salute israeliano ha però ordinato agli ospedali di non curare i prigionieri palestinesi. “Salvare spregevoli terroristi non fa parte della missione israeliana”, ha convintamente affermato il ministro.
L’esercito di Tel Aviv ha preso di mira anche la vicina Siria bombardando gli aeroporti di Aleppo e Damasco, verosimilmente per osteggiare l’eventuale rifornimento di Hezbollah proveniente da nord o come ritorsione contro Teheran dato che il ministro degli Esteri Iraniano sarebbe stato costretto a fare dietrofront per l’impossibilità del suo aereo di atterrare sul suolo siriano.
Sul fronte diplomatico il presidente iraniano Ebrahim Raisì ha avuto la sua prima telefonata con il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman da quando i paesi hanno ripreso i legami dopo l’accordo mediato da Pechino. I leader avrebbero discusso della “necessità di porre fine ai crimini di guerra contro la Palestina” e bin Salman avrebbe affermato che “il Regno sta facendo tutti gli sforzi possibili per fermare l’escalation in corso”.
Il vicino Egitto invece cerca di evitare un esodo di massa di palestinesi nella penisola del Sinai tramite il valico di frontiera di Rafah negando di averlo chiuso. La riluttanza del Cairo si baserebbe sul timore che nel momento in cui i civili lasceranno Gaza, non potranno più ritornare in Israele, come in una seconda Nakbà. Le priorità de Il Cairo sembrano invece essere i convogli umanitari, per fare in modo di consentire all’ospedale da campo egiziano di Rafah di ricevere i casi più gravi o di inviare almeno centinaia di tonnellate di aiuti a Gaza.
Abu Mazen, presidente palestinese, nel confermare che incontrerà domani il segretario di stato statunitense, Antony Blinken, ad Amman, ha ribadito in un incontro con il re Abdallah di Giordania: «Rigettiamo le pratiche relative all’uccisione o agli abusi sui civili da entrambe le parti perché violano la morale, la religione e il diritto internazionale». Il leader ha anche chiesto «la fine immediata dell’aggressione al popolo palestinese» e «la fornitura di aiuti medici e umanitari, acqua ed elettricità e l’apertura di corridoi umanitari urgenti nella Striscia di Gaza». D’altronde lo stesso Zelensky scrisse il 21 gennaio scorso su Twitter: “Cibo e acqua potabile sono un diritto umano di base. Chiunque privi le persone di cibo e acqua è un nemico dell’umanità”.
Nel Mediterraneo, Ankara sta lavorando per porre fine alla crisi tra Israele e Palestina e, come già avvenuto nel caso del conflitto ucraino, si dice pronta a mediare. Lo ha affermato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan durante una telefonata con il cancelliere tedesco Olaf Scholz, come riporta Anadolu. Ieri un funzionario turco aveva anticipato che la Turchia si stava adoperando per dialogare con Hamas con l’obiettivo di far liberare gli ostaggi.
Ad Est l’inviato cinese per il Medio Oriente, Zhai Jun, ha affermato che Pechino è disposta a coordinarsi con l’Egitto per raggiungere un cessate il fuoco immediato ed evitare così di peggiorare la crisi umanitaria della regione. La posizione espressa da Zhai è la prima risposta pubblica cinese dall’attacco di Hamas contro Israele dello scorso sabato, che sta mettendo alla prova le ambizioni di Pechino di svolgere il ruolo di pacificatore nella regione. In risposta, l’ambasciatrice israeliana a Pechino, lrit Ben-Abba, ha dichiarato che la Cina dovrebbe assumere “un atteggiamento più equilibrato” sul conflitto tra Israele e Hamas: “Ci aspettavamo che la Cina dicesse molto di più, che menzionasse le atrocità di Hamas, che condannasse gli attacchi terroristici, che dicesse qualcosa in merito alla necessità di Israele di proteggere se stesso e agire per autodifesa”, ha dichiarato Ben-Abba. “Questo non è avvenuto, non ancora”.
Intanto, la Russia spinge ancora sulla creazione di uno Stato palestinese. Il ministro degli Esteri, Sergeij Lavrov, dopo un incontro con i ministri degli Esteri della Comunità degli Stati Indipendenti, ha ribadito la speranza che, una volta risolta l’escalation di violenza, “tutti si assumano la responsabilità di attuare le decisioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU sulla creazione di uno Stato palestinese”.