di Gionata Chatillard
Torna a essere esplosiva la situazione in Kosovo dopo la sparatoria di domenica scorsa, quando decine di uomini armati di etnia serba si sono barricati in un monastero del villaggio di Banjska, diventato subito teatro di violenti scontri con le forze dell’ordine mandate da Pristina. Lo sgombero si è concluso con un bilancio di 4 morti, uno di loro agente di polizia.
Secondo il Governo kosovaro, il gruppo armato serbo sarebbe stato non solo “addestrato da professionisti”, ma anche “sostenuto politicamente” da Belgrado. Fra il materiale sequestrato domenica dalle autorità di Pristina ci sarebbero fucili di precisione e mitragliatrici, ma anche lanciarazzi, bombe a mano e droni. Il Governo kosovaro, che ha chiesto a Belgrado di consegnare diversi fuggiaschi ricoverati in un ospedale serbo, assicura inoltre che i protagonisti degli scontri si sarebbero anche avvalsi di veicoli con il logo della KFOR, la missione della NATO nella regione.
Secondo Belgrado, invece, sarebbe proprio l’indifferenza del Patto Atlantico ad aver causato la tragedia di domenica. “Ci siamo chiesti perché la KFOR non sia intervenuta e perché abbia deciso di dare carta bianca a Pristina per permetterle di uccidere quante più persone possibili”, ha dichiarato il presidente serbo, Aleksandar Vucic, secondo il quale tutto sarebbe stato orchestrato per far ricadere la colpa sul suo popolo. “Pristina vuole trascinarci in una guerra con la NATO”, ha assicurato il capo di Stato, che ha poi denunciato la militarizzazione del nord del Kosovo e la “brutale pulizia etnica” che in quella zona si starebbe compiendo sotto lo sguardo inerte delle forze internazionali.