di Gionata Chatillard
L’accademia militare della città siriana di Homs è stata colpita ieri da un attacco aereo che ha provocato la morte di un centinaio di persone. Il bilancio delle vittime è ancora approssimativo, ma i feriti si contano comunque a centinaia, anche e soprattutto fra i familiari degli ufficiali che in quel momento stavano prendendo parte a una cerimonia di consegna di diplomi. In risposta all’attacco, portato a compimento mediante droni carichi di esplosivo, Damasco ha bombardato i bastioni ribelli nella regione di Idlib.
Alla strage di Homs si sono poi aggiunte nelle ultime ore le offensive delle forze armate turche nelle province siriane controllate dai curdi, ritenuti da Ankara responsabili dell’attentato di domenica scorsa davanti alla sede del Ministero degli Interni del paese euroasiatico. L’operazione militare, che si è allargata anche al vicino Iraq, ha causato decine di morti, contribuendo ad aumentare ulteriormente il timore di una possibile escalation che faccia ripiombare il paese negli anni più bui di un conflitto che dal 2011 a oggi ha causato centinaia di migliaia di vittime.
Nonostante le acque si siano relativamente calmate negli ultimi anni, Washington, Ankara e Mosca mantengono comunque contingenti militari in territorio siriano, dove perseguono obiettivi contrastanti. Tanto che proprio ieri, il Pentagono ha dichiarato che uno dei suoi caccia si sarebbe visto costretto ad abbattere un drone turco reo di essersi avvicinato troppo alle truppe statunitensi. Una telefonata fra i ministri della Difesa dei due paesi sarebbe poi servita a chiarire le cose, ma è comunque la prima volta che un episodio del genere coinvolge i due alleati della NATO, dimostrando che nel complesso puzzle siriano non mancano di certo le scintille capaci di destabilizzare ulteriormente la nazione araba.