di Gionata Chatillard
Cinquanta miliardi di dollari. Questo è il prezzo che la Giustizia iraniana ha messo alla vita del generale Qassem Soleimani, ucciso a Baghdad il 3 gennaio 2020 da un drone statunitense. A dover pagare il conto dovrebbe quindi essere Washington, colpevole secondo i magistrati di aver causato “danni morali e materiali” alla Repubblica Islamica.
Per l’esattezza, a essere condannate sono state 42 persone, tra cui l’ex presidente Donald Trump, che giustificò quell’azione assicurando che il militare iraniano fosse in procinto di attentare contro la vita di cittadini statunitensi.
La corte che si è occupata del caso non si è limitata a stabilire l’entità dei danni causati, ma ha anche chiesto che i responsabili presentino scuse formali, ordinando la loro pubblicazione a mezzo stampa. Una sentenza che arriva dopo che i giudici avevano esaminato le richieste di oltre 3.000 persone che si erano dichiarate vittime della morte di Soleimani. Sia il presidente Ebrahim Raisi che il leader supremo Ali Khamenei avevano più volte promesso vendetta per l’uccisione del generale. Vendetta che per il momento si è tradotta in una maxi multa dal valore soprattutto simbolico.