di Gionata Chatillard
Il Governo della Somalia ha concesso ieri all’ambasciatore dell’Etiopia 72 ore di tempo per lasciare il Paese. La misura rende esplicita la crisi diplomatica in corso tra le due nazioni africane, in rotta di collisione da tre mesi a questa parte, ovvero da quando Addis Abeba ha annunciato di aver raggiunto un accordo per ottenere la concessione di una ventina di chilometri di costa del Somaliland, territorio de facto indipendente ma sul quale Mogadiscio reclama la sovranità. Non a caso, il Governo somalo ha ordinato anche la chiusura del consolato etiope in questa regione. Una decisione che però le autorità locali hanno già detto di non voler applicare.
Se da una parte Addis Abeba cerca da anni uno sbocco sul mare, dall’altra Mogadiscio accusa il paese vicino di aver violato la propria sovranità. A infastidire ulteriormente la Somalia c’è poi l’intenzione dell’Etiopia di costruire una base navale proprio nel tratto di costa che intende ottenere dal Somaliland, il cui Governo cerca la sponda di Addis Abeba per garantire la propria indipendenza da Mogadiscio. La situazione di questo territorio è inoltre molto simile a quella del vicino Puntland, regione semi-indipendente che solo pochi giorni fa ha dichiarato di non riconoscere più l’autorità del Governo somalo. Motivo per cui ieri Mogadiscio ha decretato -anche in questo caso invano- la chiusura del consolato etiope nel Puntland.
La quarta misura adottata dalla Somalia è stata infine quella di richiamare il proprio ambasciatore da Addis Abeba per consultazioni. La crisi diplomatica, dunque, è già servita, ma ciò che si delinea all’orizzonte potrebbe anche essere un vero e proprio conflitto armato nel già instabile Corno d’Africa. Anche perché in Somalia sono attualmente dispiegati circa 3.000 soldati etiopi mandati dall’Unione Africana per contrastare il terrorismo. Il loro destino aiuterà forse a capire se lo scontro fra Mogadiscio e Addis Abeba è ormai irreversibile.