di Margherita Furlan
Giornata storica per il diritto internazionale quella di oggi. Al Palazzo della Pace dell’Aja, di fronte alla Corte internazionale di giustizia (Cig), Israele risponde in due udienze alle accuse di “genocidio” verso la popolazione della Striscia di Gaza. ll Sudafrica ha presentato il caso alla Corte internazionale di giustizia il 29 dicembre scorso, sostenendo che Israele ha commesso “atti di genocidio” a Gaza durante la guerra dichiarata contro Hamas.
La prima richiesta alla Corte (secondo l’articolo 41 del suo statuto) è di approvare misure provvisorie per impedire all’esercito israeliano di continuare le operazioni militari nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania a danno dei palestinesi.
Secondo il Paese africano, Israele avrebbe violato gli obblighi previsti dalla Convenzione sul genocidio. Il ricorso di 84 pagine accusa di avere commesso atti di “carattere genocida perché mirano alla distruzione di una parte sostanziale del gruppo nazionale, razziale ed etnico palestinese”.
La Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, approvata nel 1948 e di cui Sud Africa e Israele sono firmatari, qualifica come atti di questo tipo: uccisione di membri del gruppo; lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo; il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo; trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro.
Più di 23mila palestinesi, la maggior parte dei quali donne e bambini, sono stati uccisi a Gaza dall’inizio del conflitto, secondo il ministero della Sanità palestinese. In Israele sono morte 1.200 persone, per lo più civili, negli attacchi del 7 ottobre, e quasi 200 soldati dall’inizio dell’invasione della Striscia a fine ottobre.
Stamane dunque, tra le manifestazioni sia pro-Israele che pro-palestinesi, si è aperto il procedimento che vede una prima sfida tra accusa e difesa: oggi è toccato al Sudafrica, rappresentata dall’avvocato Adila Hassim, esporre la propria tesi davanti ai 15 giudici eletti dall’Assemblea Generale e dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Domani invece sarà la volta della difesa di Israele. Nel suo intervento, il ministro della Giustizia sudafricano, Ronald Lamola, ha affermato che la risposta di Israele all’attacco del 7 ottobre ha oltrepassato il limite e ha dato luogo a violazioni della convenzione. L’avvocato sudafricano Adila Hassim ha inoltre affermato che la campagna di bombardamenti israeliana mirerebbe alla “distruzione della vita palestinese” e a spingere il popolo di Gaza “sull’orlo della carestia”. ll legale ha dichiarato esplicitamente: “Non siamo soli quando diciamo che Israele ha commesso un genocidio a Gaza. Siamo dalla parte di molti altri”. In effetti il supporto proviene da Algeria, Maldive, Bahrain, Mauritania, Bangladesh, Marocco, Bolivia, Namibia, Brasile, Nicaragua, Comore, Pakistan, Gibuti, Palestina, Egitto, Qatar, Iran, Arabia Saudita, Iraq, Somalia, Giordania, Sudan, Kuwait, Siria, Libano, Tunisia, Libia, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Malesia, Venezuela, Maldive, Yemen. Nel frattempo, oggi l’esercito israeliano ha commesso un altro crimine contro i civili, questa volta nel sud del Libano. Diversi i civili che sono rimasti feriti durante i bombardamenti contro l’Associazione della società civile islamica a Hanin.
Domani è prevista la risposta israeliana.
Le motivazioni che spingono il Sudafrica, paese tra i fondatori dei BRICS, seppur solitamente lontano dalle questioni mediorientali, ad esporsi sulla questione, è da ricercarsi in ragioni storiche quanto politiche. Il Sudafrica infatti è da molti anni un convinto alleato della causa palestinese, avendo riconosciuto la Palestina come Stato sovrano sin dal 1995 e fornito supporto sia con dichiarazioni pubbliche che con aiuti materiali. Inoltre, per la sua storia legata alla lotta contro il colonialismo e la segregazione razziale, il governo Sudafricano è ideologicamente vicino alla causa palestinese. Basti pensare che il ministro sudafricano per le relazioni internazionali, Naledi Pandor, ha accusato Israele di esibire le caratteristiche tipiche di uno Stato di apartheid, esprimendo vicinanza alla popolazione palestinese per le discriminazioni subite che ricorderebbero l’esperienza delle segregazioni razziali in Sudafrica.
Dimostrare l’accusa di genocidio è però un compito molto complicato anche alla luce delle divergenze in atto – e rese pubbliche – fra i membri del governo di Tel Aviv relativamente al futuro di Gaza. La causa fa riferimento a dichiarazioni di alti funzionari del governo israeliano che indicherebbero una volontà di eliminare, totalmente o in parte, la popolazione palestinese a Gaza per garantire la sicurezza di Israele. Tra le dichiarazioni che appaiono nel documento vi sono quelle rilasciate dal Primo Ministro, Benjamin Netanyahu, che ha definito i palestinesi come “animali umani”, il suggerimento da parte del Ministro Amichai Eliyahu di “sgangiare una bomba atomica su Gaza”, oltre alle parole del Ministro della Sicurezza Nazionale, Ben Gvir, e del Ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, che, durante una recente seduta del parlamento, hanno rilasciato dichiarazioni a favore di “allontanare” e “ricollocare” l’intera popolazione di Gaza.
Il governo di Israele ha prontamente respinto le accuse del Sudafrica, definendole un tentativo di diffamazione antisemita. Il ministero degli Esteri di Tel Aviv ha dichiarato che la causa presentata dal Sudafrica “non possiede le necessarie basi legali” e costituisce uno “sprezzante abuso della Corte”, mentre il Primo Ministro Netanyahu ha affermato che le forze israeliane a Gaza stanno “dimostrando una moralità senza pari” nella guerra contro Hamas.
Israele ha inoltre accusato il Sudafrica di collaborare con Hamas, dichiarando che sono questi ultimi a voler commettere un genocidio. Questa è stata anche l’opinione espressa a Novembre dal relatore del Consiglio di Sicurezza Nazionale statunitense, John Kirby, che ha dichiarato che Israele non starebbe commettendo un genocidio, ma una minaccia genocida.
Gli Stati Uniti si sono di fatto schierati con Israele, definendo la causa del Sudafrica come “priva di meriti, controproducente e senza basi fattuali“. Il Dipartimento di Stato ha dichiarato inoltre che gli Stati Uniti non hanno visto “nessun atto di genocidio” da parte delle forze Israeliane, e che la decisione del Sudafrica non rappresenti un “gesto produttivo” in questo momento.
Ad ogni modo, in questa controversia tutto ruota attorno alla possibilità dell’accertamento da parte dei giudici del ‘dolus specialis’, l’elemento soggettivo costitutivo del genocidio. Perché uno Stato venga ritenuto responsabile di un atto di genocidio, infatti, non bastano gli atti, che sono l’elemento oggettivo del genocidio – uccisioni, torture, ma anche le condizioni invivibili imposte ai palestinesi di Gaza. E’ fondamentale dimostrare l’elemento soggettivo, ovvero l’intento della “distruzione totale o parziale di un gruppo nazionale, razziale, etnico o religioso”, come recita la Convenzione.
Secondo diversi giuristi, nel giro di alcune settimane la Corte potrebbe decidere misure cautelari, chiedendo genericamente di fermare il conflitto e poi decidere nel merito. Inoltre potrebbe sostenere che i comportamenti di Israele rischiano di configurare un atto di genocidio ad opera dello Stato. Per ottenere queste misure cautelari, il Sudafrica non ha bisogno di provare che sia avvenuto un genocidio, ma bensì di dimostrare che la Corte ha giurisdizione ‘prima facie’ e che alcuni degli atti oggetto del ricorso – in questo caso il bilancio delle vittime e lo sfollamento forzato dei palestinesi a Gaza – potrebbero rientrare nella Convenzione sul genocidio. Il verdetto sarà definitivo e non potrà essere appellato, ma la Corte non ha gli strumenti per fare rispettare le sue decisioni: una sentenza sfavorevole sarebbe dunque dannosa per Israele solo a livello di reputazione ma costituirebbe un grave precedente legale.
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