di Domenico D’Amico
Da una nota dello scorso 27 ottobre del Ministero della Difesa americano si apprende che sono in corso di rinnovamento parti consistenti dell’arsenale atomico: in particolare quelli relativi alle bombe b61-7, le più potenti della categoria b61, che saranno sostituite dalle nuove b61-13.
La potenza dichiarata per questa classe di bomba atomica è di 360 kilotoni, ovvero trenta volte più potente di quelle sganciate in Giappone nel 1945.
Sono quindi bombe in grado di distruggere completamente una grande città e di uccidere in un sol colpo milioni di persone.
Le novità rilevanti sono due: una è la capacità di queste nuove bombe di penetrare fin dentro il sottosuolo, distruggendo bunker e sotterranei, alla stregua della bomba sorella b61-12, che però è molto meno potente; la seconda caratteristica e il nuovo possibile uso della bomba in questione sui caccia F-15, F-16 e Tornado. Tutto ciò “rafforzerà la deterrenza nei confronti degli avversari e la garanzia nei confronti degli alleati e dei partner, fornendo al Presidente ulteriori opzioni contro alcuni obiettivi militari più difficili e ad ampio raggio.”, dice il comunicato ufficiale del Ministero, che poi continua: ” Questa iniziativa fa seguito a diversi mesi di revisione e considerazione. La messa in campo della B61-13 non è una risposta a un evento specifico, ma riflette una valutazione continua di un ambiente di sicurezza in evoluzione.”.
L’ambiente in continua evoluzione è presto detto: lo scenario ucraino assieme a quello medio-orientale e in prospettiva forse Taiwan.
L’invio massiccio di materiale bellico su questi scenari è l’occasione giusta per il ripristino delle scorte e l’adeguamento tecnologico necessario, che non è certamente limitato all’atomico; il sostegno militare verso Kiev verrà certamente addebitato ai futuri bilanci ucraini e degli alleati, qualora le cose vadano bene per gli Stati Uniti, sotto forma magari di un definitivo e strettissimo vassallaggio.
Il fronte degli arsenali atomici non sembra quindi preoccupare gli Stati Uniti che, come in ogni settore militare, non hanno limiti di spesa: il dominio del dollaro consente loro di stampare e comprare, riciclando il tutto tramite Wall Street. Un problema sembra però presentarsi con i missili ipersonici, dove la Russia e la Cina sembrano essere in netto vantaggio, anche per l’accesso privilegiato alle terre rare, fondamentali per questa tipologia di armamenti per la parte leghe metalliche e semiconduttori.
Gli Stati Uniti, dipendenti dal 50% fino al 100% su alcuni di queste materie prime, cercano nuove alleanze per aggirare la Cina, che ha imposto un embargo come ritorsione alle misure americane contro la Cina e i suoi prodotti; e hanno forse trovato nell’India il partner disposto a fare la sua parte: la partnership siglata tra Modi e Biden a settembre va decisa in questa direzione. L’Ucraina risulta poi fondamentale per il neon, gas essenziale per costruire microchip, di cui è prima esportatrice per tutto il mondo.
Aggiungendo poi le solite risorse energetiche del Medio Oriente, si viene a comporre un quadro geopolitico e di contesa militare più coerente: se chi ha le risorse non le mette totalmente disposizione del mercato del dollaro, entra sicuramente nella lista nera di Washington. E per la supremazia del dollaro e quindi del loro impero, gli Stati Uniti sono disposti a tutto, anche all’uso delle atomiche nuove di zecca. D’altronde lo hanno già fatto due volte. E lo schieramento navale nel Mediterraneo non promette nulla di buono.