di Gionata Chatillard
Tre morti e una trentina di feriti. Questo è il bilancio dell’offensiva che ieri, 28 gennaio, ha preso di mira un avamposto militare statunitense in Giordania. L’obiettivo era la Torre 22, che si trova al confine con la Siria, motivo per cui Amman ha sostenuto che l’attacco fosse in realtà avvenuto nel paese vicino. Il Pentagono, però, ha spiegato che il citato hub logistico si trova in realtà in territorio giordano, sebbene a soli 20 chilometri dalla base statunitense di Al-Tanf, questa sì situata dall’altra parte della frontiera.
Sulla questione è intervenuto direttamente Joe Biden, che ha attribuito la responsabilità dell’offensiva alle milizie sostenute dall’Iran. “Non abbiate dubbi: chiederemo conto a tutti i responsabili, nel momento e nel modo che sceglieremo”, ha tuonato il capo della Casa Bianca, minacciando in questo modo una futura rappresaglia. Parole rimandate al mittente da Teheran, che oltre a dichiararsi totalmente estraneo ai fatti, accusa anche Washington di aver “ribaltato la realtà” per perseguire “obiettivi politici”.
Al di là delle scaramucce verbali, le truppe statunitensi sono ormai sotto attacco costante in tutta la regione. Dall’inizio della guerra a Gaza, il 7 ottobre scorso, diverse milizie hanno colpito postazioni militari statunitensi più di 60 volte in Iraq e oltre 90 in Siria. L’offensiva di ieri è però stata la prima contro le truppe del Pentágono in Giordania, paese in cui Washington è presente con circa 3.000 effettivi, che probabilmente troveranno presto il modo di rispondere all’attacco subito.
Ma che il conflitto si stia allargando sempre di più lo dimostra anche quanto successo ieri in una chiesa italiana di Istanbul, dove un uomo è stato colpito a morte al termine della messa domenicale. Dopo 30 raid delle forze di sicurezza turche, le autorità hanno arrestato due persone, un cittadino tagiko e uno russo di origine cecena. Ankara sospetta che siano affiliati all’ISIS, organizzazione che secondo alcune fonti avrebbe già rivendicato l’attentato. Se ciò si confermasse, si tratterebbe del primo attacco dello Stato islamico in Turchia dal 2017, a testimonianza del fatto che le acque del Mediterraneo Orientale -così come quelle del Golfo Persico o del Mar Rosso- sono ogni giorno più agitate.