di Gionata Chatillard
Non si è fatta attendere la reazione dei mercati alla decisione di Fitch di abbassare il rating del debito statunitense. Nelle ultime ore si sono infatti registrate importanti perdite, con il rendimento dei titoli del Tesoro a 10 anni che è salito di 8 punti base tornando ai livelli dello scorso novembre, i più alti degli ultimi 15 anni. Ciò significa che per il Governo sarà più caro indebitarsi, ovvero che Washington dovrà pagare interessi più alti per poter continuare a far girare la macchina della spesa pubblica, guerra inclusa.
Secondo diversi analisti, il downgrade decretato da Fitch sarebbe da interpretarsi come un avvertimento alla Federal Reserve affinché si decida a tagliare i tassi dopo mesi di stretta monetaria. Anche perché interessi elevati contribuiscono a impennare ulteriormente il già gigantesco debito nazionale, che si aggira ormai intorno ai 33 trilioni di dollari, equivalenti a oltre il 120% del Prodotto Interno Lordo statunitense.
La bolla, dunque, continua a gonfiarsi. Il debito statunitense è, in termini assoluti, più del doppio di quello del Giappone, secondo paese in classifica. Una classifica che dimostra come i paesi più ricchi al mondo siano anche quelli con un passivo più alto. Secondo le regole del capitalismo per come lo conosciamo, sembra infatti che per fare soldi occorra inevitabilmente indebitarsi.
Meccanismo, questo, che vale sia per le aziende che per i Governi, compreso quello cinese. Il debito delle famiglie del paese asiatico ha infatti raggiunto il 63,5% del PIL nel secondo trimestre, sfiorando ormai quella che il Fondo Monetario Internazionale considera come una pericolosa linea rossa per la tenuta del sistema. Forse proprio per questo, tanto la Cina come altri paesi si stanno progressivamente sganciando da un dollaro su cui la fiducia globale è ormai iniziata a venire meno.