di Gionata Chatillard
Il primo attacco mai portato a compimento dall’Iran in territorio israeliano ha definitivamente consegnato alla Storia del Medio Oriente un nuovo panorama geopolitico. Che gli equilibri non fossero più gli stessi di qualche anno fa si era ormai reso evidente in diversi dossier regionali, ma il fatto che Washington non sia riuscita a impedire a Teheran di colpire in profondità il suo principale rivale conferma, alla prova dei fatti, il drastico ridimensionamento dell’influenza occidentale fra le monarchie del Golfo Persico, che una dopo l’altra sembrano aver deciso di sfilarsi dalle politiche anti-iraniane della Casa Bianca. Partner tradizionali degli Stati Uniti come l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti o il Kuwait hanno infatti preferito chiamarsi fuori dal conflitto in corso, rifiutandosi di cedere il proprio territorio al Pentagono per lanciare attacchi contro obiettivi della Repubblica Islamica.
Per gli interessi di Washington nella regione si tratta quindi di un vero e proprio “disastro”, per citare la parola usata da un alto funzionario statunitense che ha parlato alla stampa in condizioni di anonimato. Anche perché, fra i paesi che si sono rifiutati di collaborare con il Pentagono ci potrebbe essere anche la Turchia, sebbene da Ankara siano arrivate parziali smentite in merito alla questione. Ciò che invece non può più essere smentito è la crescente distanza che separa gli Stati Uniti dai paesi arabi, che prima hanno messo in discussione il monopolio del petrodollaro, poi hanno accettato la mediazione cinese in Yemen. Il tutto mentre gli Accordi di Abramo giacciono in stand by, ormai superati dagli avvenimenti in corso.
Notevole -e forse unica- eccezione all’andamento generale è quella della Giordania, paese arabo in controtendenza rispetto ai suoi vicini. Le forze militari di Amman hanno infatti intercettato e distrutto numerosi droni iraniani prima che questi potessero colpire obiettivi in territorio israeliano, confermando il crescente sostegno del Regno Hashemita nei confronti del Governo di Benjamin Netanyahu.
Chi ha invece provato in qualche modo a giustificare l’offensiva della Repubblica Islamica è stata la Russia, sottolineando la responsabilità delle Nazioni Unite nell’escalation in corso. Secondo Mosca, infatti, l’ONU avrebbe potuto disinnescare la reazione di Teheran con una ferma condanna dell’attacco contro il consolato iraniano di Damasco. Il silenzio complice della comunità internazionale, si legge in un comunicato del Ministero degli Esteri russo, è ciò che ha spinto la Repubblica Islamica a esercitare il proprio diritto all’autodifesa in base all’Articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite.
Da Mosca, in ogni caso, chiedono prudenza e diplomazia a tutti gli attori implicati nell’escalation. Tuttavia, di fronte alla richiesta di una ferma condanna dell’attacco iraniano, l’Esecutivo russo ha risposto ricordando a quello di Netanyahu il suo silenzio riguardo alle numerose offensive ucraine subite dalla Russia. “Non ricordo la condanna di un solo attacco del regime di Kiev”, ha dichiarato la portavoce Maria Zakharova, che invece dice di ricordarsi benissimo le “continue dichiarazioni a sostegno di Zelensky” da parte del Governo israeliano.