di Gionata Chatillard
la scorsa primavera si era saputo dell’intenzione di Stati Uniti, Regno Unito e Australia di dotarsi di sciami di velivoli autopilotati in grado di coordinarsi autonomamente grazie all’Intelligenza Artificiale. Qualche dettaglio in più su questa strategia è poi trapelato negli ultimi giorni da Washington, dove il progetto sembra aver già preso piede con un obiettivo preciso, quello di contrastare la Cina in un eventuale conflitto nel quadrante Indo-Pacifico.
Il programma, presentato recentemente dal Dipartimento di Difesa, si chiama Replicator, e intende trovare una soluzione allo strapotere numerico dell’Esercito della Repubblica Popolare, dotato di più navi, più missili e più uomini rispetto a quello statunitense. Un problema che il Pentagono pensa di risolvere entro 2 anni dotandosi di un gran numero di droni a basso costo in grado di operare congiuntamente per terra, mare e aria. Una sorta di sciame autonomo capace di trasformare il campo di battaglia in un autentico “paesaggio infernale”, per riprendere l’espressione usata da John Aquilino, capo del comando Indo-Pacifico degli Stati Uniti.
Secondo l’ammiraglio, un risultato accettabile sarebbe quello di riuscire ad attaccare con efficacia fino a 1.000 bersagli nel giro di 24 ore. Un obiettivo ambizioso, ma anche inaggirabile, soprattutto tenendo conto dell’enorme estensione geografica della Cina. Fare affidamento su sciami di droni potrebbe in questo senso rappresentare un punto di svolta in un eventuale conflitto, fornendo un “vantaggio asimmetrico” alle forze armate statunitensi, che sarebbero così in grado di sopraffare gli avversari attraverso guerre di logoramento basate semplicemente sulla pura forza numerica dei mezzi a disposizione.
Si tratterebbe, insomma, di puntare più sulla quantità che sulla qualità. Ovvero di causare grandi danni fra le fila nemiche utilizzando tecnologie sacrificabili sul campo di battaglia. Per la riuscita del progetto è dunque fondamentale che i droni in questione siano economici. Questo, tuttavia, potrebbe essere il principale problema che il Pentagono si troverà ad affrontare nei prossimi mesi, dal momento che, adesso come adesso, per impedire che i prezzi lievitino eccessivamente, occorre ancora fare affidamento sui componenti a basso costo che arrivano -ironia della sorte- proprio dalla Cina.