di Gionata Chatillard
L’offensiva non è ancora finita. Questo è il messaggio recapitato dalla Casa Bianca ai gruppi armati filo-iraniani presi di mira nelle ultime ore dall’Esercito statunitense. “Gli ultimi raid sono stati solo l’inizio della nostra risposta. Intendiamo intraprendere ulteriori offensive per mettere in chiaro che risponderemo ogni qualvolta le nostre truppe verranno attaccate”, ha dichiarato il consigliere per la Sicurezza Nazionale Jake Sullivan, in allusione ai 3 militari del Pentagono uccisi una settimana fa al confine fra Giordania e Siria.
Proprio quest’ultimo paese è stato il principale bersaglio -insieme all’Iraq- dei raid lanciati venerdì scorso dagli Stati Uniti. In questi paesi, gli obiettivi colpiti sono stati quasi un centinaio, con un bilancio di almeno 40 morti. Tanto che a Bagdad, la pazienza nei confronti delle forze di occupazione si sta rapidamente esaurendo. Il Governo iracheno ha infatti convocato l’incaricato d’affari statunitense per presentare una protesta formale, mentre la Commissione per la Sicurezza e la Difesa del Parlamento ha chiesto che le truppe internazionali tornino al più presto da dove sono venute. La loro presenza, si legge in un comunicato, “destabilizza” il paese violando la sua sovranità. Inoltre, Bagdad accusa Washington di falsificare costantemente i fatti, spacciando per operazioni “coordinate” quelle che invece sono aggressioni unilaterali. Aggressioni che la Russia ha annunciato di voler portare al vaglio delle Nazioni Unite chiedendo una riunione eccezionale del Consiglio di Sicurezza.
Dopo i primi raid in Iraq e Siria, il weekend di fuoco in Medio Oriente è poi proseguito sabato e domenica in Yemen, dove le forze statunitensi e britanniche hanno colpito una cinquantina di obiettivi in oltre 10 località. Secondo Washington, a sostenere l’offensiva c’erano anche Australia, Nuova Zelanda, Canada, Danimarca, Paesi Bassi e Bahrain. Il che non è comunque bastato a convincere gli Houthi a fare retromarcia. Il portavoce del gruppo yemenita al Potere ha infatti affermato che la decisione di sostenere Gaza è ormai irremovibile, e che non potrà essere influenzata da nessuna aggressione anglo-americana.