di Margherita Furlan
L’onda lunga del crollo della Silicon Valley Bank (Svb) arriva fino alla Repubblica popolare cinese. Il Financial Times ha dedicato un lungo approfondimento alle imprese cinesi che rischiano ingenti somme dal crollo della banca statunitense. Molte di queste sono start-up coinvolte in progetti tra le due sponde del Pacifico, tante provengono dal settore delle biotecnologie. A rischio anche la filiale cinese di Svb, di cui il 50% delle quote apparteneva alla gemella oltreoceano. Nel fine settimana si è tenuta una riunione d’emergenza per impedirne il collasso. Le prime indiscrezioni parlano di un salvataggio a opera della Shanghai Pudong Development Bank, ma non è ancora emersa una soluzione definitiva. Il Financial Times in realtà non fa altro che descrivere un nuovo capitolo nella competizione globale tra Pechino e Washington, cercando di gettare discredito sulla capitale dell’ex celeste Impero che di fatto si sta sostituendo agli Stati Uniti, nella scacchiera del potere internazionale. La Repubblica Popolare Cinese sta, tra le altre cose, pianificando l’organizzazione entro la fine del 2023 di un grande summit a Pechino con i monarchi arabi del Golfo e i funzionari della Repubblica Islamica dell’Iran. Le indiscrezioni emergono all’indomani dello storico ripristino dei rapporti diplomatici tra Riyad e Teheran mediato personalmente dal capo della diplomazia cinese Wang Yi. L’iniziativa diplomatica promossa dal presidente Xi Jinping palesa l’accresciuto interesse del Dragone per il Medio Oriente, ritagliando per sé il ruolo centrale di intermediario di potere.