di Gionata Chatillard
Proseguono senza sosta le intense attività diplomatiche del Governo statunitense nell’Indo-Pacifico. Nella giornata di ieri, il segretario di Stato Antony Blinken si è riunito a Tokyo con i ministri degli Esteri di Giappone, Australia e India, che assieme a Washington formano il cosiddetto Quad, blocco di paesi a trazione occidentale nato per contenere le ambizioni regionali della Repubblica Popolare Cinese. Un obiettivo che i protagonisti del vertice hanno voluto ribadire ancora una volta, esprimendo la loro “seria preoccupazione” per le sempre più frequenti scaramucce navali fra Pechino e Manila. Tanto che, secondo il Quad, saremmo di fronte alle “circostanze più difficili che la regione si trova costretta ad affrontare da decenni a questa parte”. Proprio per questo, il blocco filo-statunitense ha sottolineato la necessità di proseguire nell’addestramento militare congiunto, così come nello sviluppo di sistemi di protezione cibernetica condivisi dai 4 paesi in questione.
Poche ore prima del vertice del Quad, sempre a Tokyo si era svolto un incontro forse ancora più importante, con la partecipazione dei massimi responsabili della Diplomazia e della Difesa di Stati Uniti e Giappone. Il risultato della riunione è stato uno storico aggiornamento delle regole di ingaggio del Pentagono nel paese del Sol Levante. A partire da adesso, il comando statunitense in Giappone non sarà più gestito in remoto dalle Hawaii, ma direttamente dai generali statunitensi di stanza in territorio nipponico. Secondo i diretti interessati, si tratterebbe di uno dei cambiamenti più significativi delle relazioni militari fra i 2 paesi negli ultimi 70 anni. Una svolta che intende mettere nel mirino la Cina, definita da Tokyo e Washington come “la più grande delle sfide strategiche”. Il segretario alla Difesa statunitense, Lloyd Austin, ha dichiarato infatti che Pechino starebbe mettendo in atto un “comportamento coercitivo” con l’obiettivo di “cambiare lo status quo” nelle acque dell’Indo-Pacifico. Motivo per cui il capo del Pentagono ha insistito sulla necessità di impegnare il proprio paese in una “deterrenza estesa”, che includa quindi anche le armi atomiche. Un passo, questo, che il Giappone si sta mostrando disposto a discutere nonostante la sua storica riluttanza ad affrontare l’argomento nucleare, particolarmente delicato in un paese che proprio dagli Stati Uniti è stato bombardato con questo tipo di arma di distruzione di massa.
Dall’altra parte del Mar Cinese Orientale, la reazione di Pechino non si è fatta attendere. Il Ministero degli Esteri della Repubblica Popolare ha esortato Tokyo e Washington a “smetterla di creare nemici immaginari”. “L’accordo fra Stati Uniti e Giappone si intromette rozzamente nei nostri affari interni, diffamandoci sulle questioni marittime e aumentando maliziosamente le tensioni regionali”, ha denunciato il Governo di Xi Jinping. “Affermano di promuovere la pace regionale e un ordine internazionale basato su regole, ma in realtà stanno solo formando blocchi esclusivi da manipolare e da portare allo scontro”, ha poi rincarato la dose Pechino. Parole in cui si riconosce anche Mosca, con il Cremlino che ha dichiarato che “purtroppo l’attuale Governo del Giappone simpatizza con le azioni ostili dell’Occidente collettivo”, anche a costo di aumentare esponenzialmente la tensione con gli altri paesi di una regione che ogni giorno che passa è sempre più militarizzata.