di Fabio Belli
Gli scambi giornalieri yuan-rublo alla borsa di Mosca sono cresciuti di circa 35 volte da gennaio ad agosto.
È quanto riporta la testata finanziaria russa, The Bell, che imputa tale fenomeno all’esclusione dal sistema finanziario internazionale delle imprese russe, costrette ormai a scaricare le riserve in valute occidentali, considerate tossiche e ritenute a rischio congelamento per via delle sanzioni.
A fare da traino a questa prevedibile liaison valutaria vi sono i dati della dogana cinese, secondo i quali nella prima metà dell’anno il commercio con la Russia è cresciuto del 29% su base annua facendo di Pechino il principale partner commerciale di Mosca con un volume di scambi prossimo ai 100 miliardi di dollari e che, secondo gli esperti economici dei due paesi, potrebbe persino raddoppiare a causa dell’approdo di società statali cinesi nel mercato russo.
Nel frattempo, le banche russe starebbero già offrendo depositi in yuan alle aziende nazionali, oltre alla possibilità di contrarre prestiti in valuta cinese. Un fenomeno chiamato “yuanizzazione” dell’economia. Non a caso Mosca, delle sue riserve di 630 miliardi di dollari, ha una quota in yuan pari al 13,1%, la più alta di qualsiasi altro paese.
Inoltre il recente decreto in materia firmato dal presidente russo, Vladimir Putin, sarebbe intervenuto, oltre che per arginare i meccanismi sanzionatori, anche per stimolare il passaggio delle imprese allo yuan e alle altre valute dei cosiddetti Paesi “amici”.