di Domenico D’Amico
L’energia e il controllo della stessa è sempre più un tema decisivo per il presente e per il prossimo futuro dell’Unione Europea. Il conflitto in Ucraina e il conseguente embargo sulle forniture di gas russo, assieme alla distruzione dei gasdotti Nord Stream, ha portato serissimi problemi all’economia europea che ha dovuto, per forza di cose, volgere lo sguardo dall’altra parte dell’oceano atlantico, verso gli Stati Uniti. E con la compagnia statunitense Venture Global, specializzata nella lavorazione e distribuzione di gas liquefatto (GNL) in tutto il mondo, alcune grandi aziende europee del settore energetico avevano già siglato degli accordi a lungo termine a un prezzo che ora sarebbe molto vantaggioso e basso.
Ma la Venture Global sembra abbia preferito dare priorità alle vendite sul mercato spot del gas, in Europa e in Asia, dove i prezzi sono circa dieci volte superiori: secondo la compagnia Edison, come riportato dal Financial Times, Venture Global avrebbe guadagnato 17,8 miliardi sul mercato speculativo invece dei 2,8 miliardi guadagnati rispettando i contratti già stipulati con le grandi major europee. “Questo problema non è più una disputa privata tra aziende”, ha dichiarato Edison in una lettera visionata dal Financial Times. “Piuttosto sta aggravando una crisi energetica che colpisce la vita di tutti i cittadini europei. Non può più essere trascurata”. Dello stesso tono le dichiarazioni delle altre grandi aziende europee come British Petroleum, Shell e Repsol, che si sono rivolte alla task force Usa-Unione Europea istituita all’indomani della crisi -russo-ucraina. La compagnia americana accampa ragioni tecniche che non le consentono di essere ancora pienamente operativa, avendo avviato la costruzione degli impianti specifici di GNL, in Louisiana, nel gennaio 2022. E le autorità commerciali americane respingono ogni richiesta di intervento, in quanto la questione è meramente contrattuale; identico l’atteggiamento anche della task force Stati Uniti-Unione Europea. Decisamente un penoso collo di bottiglia per l’Europa, che sembra far di tutto per rendersi ricattabile. Si distingue in questo senso l’Ungheria, che si è dichiarata ormai prossima al completamento dell’unità supplementare dell’impianto per l’energia nucleare civile denominato Pek 2: “Dopo la messa in funzione di altre due unità con una capacità di 1.200 megawatt ciascuna, le importazioni di energia potranno essere interrotte”, ha dichiarato a Sputnik il direttore generale della centrale Pal Kovacs, specificando che l’Ungheria ha già messo a punto il collegamento con sette paesi limitrofi e che da importatore netto diventerà esportatore netto. I lavori sono portati avanti in un accordo quadro stipulato con la Russia, che ha finanziato con 10 miliardi di dollari la costruzione della nuova parte di centrale: impegnata come principale partner la Rosatom, azienda russa, che dichiara che la centrale sarà operativa da gennaio 2024, come riportato da Sputnik. L’Italia con il piano Mattei prova a percorrere la strada ibrida degli accordi con Algeria (ora il maggior fornitore per l’Italia), Libia e Tunisia e infine Azerbaigian: approvvigionamenti per sé ma anche l’idea di diventare una sorta di hub tra l’Africa del Nord e i partner europei, con l’obiettivo di avere così più potere contrattuale in Europa. Con lo scheletro nell’armadio, ovviamente non dichiarato, dell’immigrazione, probabile merce di scambio con i paesi interessati. Un’Europa senza potere contrattuale, che procede in ordine sparso quindi e dove la confusione, quella sì, regna sempre più sovrana.