di Fabio Belli
La Nakba palestinese non fu altro che una “migrazione”. È quanto sostiene il quotidiano statunitense New York Times che, evidentemente, considera marginale il fatto che alla fine del 1948, per dichiarare lo Stato di Israele, furono sacrificati 530 villaggi di cittadini di etnia araba, due terzi dei palestinesi furono esiliati e 13.000 di loro furono uccisi dalle milizie sioniste.
Nel frattempo la Giordania ha intimato al vicino israeliano di non sfrattare i palestinesi né da Gaza, né dalla Cisgiordania. “Qualsiasi tentativo in tal senso sarà considerato una linea rossa e costituirà una dichiarazione di guerra”, ha riferito il servizio stampa del primo ministro Bisher Jasauné.
Fallito nuovamente il tentativo da parte delle Nazioni Unite di fermare la mattanza di Gaza: Cina ed Emirati Arabi hanno rilasciato una dichiarazione congiunta dopo il Consiglio di Sicurezza. “Chiediamo un cessate il fuoco umanitario urgente”, ha affermato l’ambasciatore cinese Zhang Jun, mentre l’omologa emiratina, Lana Zaki Nusseibeh, ha sottolineato come i civili nell’enclave palestinese al momento non possano trovare sicurezza nemmeno nelle strutture delle Nazioni Unite, negli ospedali e nei campi profughi. Le guerre hanno leggi… E devono essere rispettate”, ha concluso la Nusseibeh.
Leggi che Tel Aviv sembra interpretare a modo suo visto che ha persino dichiarato di volersi impadronire definitivamente della Striscia di Gaza. Lo ha candidamente affermato il ministro della difesa israeliano, Yoav Gallant, secondo il quale le forze armate del Paese avranno assoluta libertà di azione all’interno di Gaza una volta conclusa la guerra contro Hamas. Le dichiarazioni confermano quanto aveva precedentemente detto all’emittente ABC News il primo ministro Benjamin Netanyahu, che aveva incaricato il proprio esercito di assumersi la responsabilità della sicurezza nell’enclave per un “periodo indefinito”.
Secondo un rapporto dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari, gli sfollamenti a Gaza sarebbero 1,5 milioni, le vittime hanno superato le 10.000 unità, tra cui oltre 4.000 bambini. A questi vanno aggiunti i dispersi, a oggi 2.260 persone, tra cui 1.270 bambini.
I bombardamenti israeliani hanno distrutto oltre 40.000 unità abitative, preso di mira 39 strutture sanitarie, 258 istituti scolastici, 55 moschee e 3 chiese, oltre a 471 strutture industriali e 85 uffici stampa.
Significativo è poi anche il bilancio dei militari statunitensi feriti negli attacchi alle basi a stelle e strisce in Iraq e Siria. Secondo il Pentagono, 45 soldati avrebbero riportato lesioni gravi, 32 dei quali colpiti presso la guarnigione ad al-Tanf, nel sud della Siria e 13 nella base aerea irachena di al-Asad.
Gli attacchi si sono intensificati dopo la dichiarazione di pieno sostegno di Washington a Tel Aviv. Un sostegno che alimenta sempre più forte il dissenso nel mondo arabo, non facendo altro che surriscaldare la regione mediorientale. Non a caso, migliaia di persone sono scese nelle strade di Baghdad, per protestare contro la visita a sorpresa del segretario di Stato americano Antony Blinken.