di Gionata Chatillard
Il Governo iracheno lo aveva detto con largo anticipo: se la Svezia avesse permesso un’altra manifestazione contro il Corano, Baghdad avrebbe rotto i rapporti diplomatici con Stoccolma. E così è stato. Ieri, 20 luglio, l’Iraq ha deciso di espellere l’ambasciatore dello Stato scandinavo, richiamando allo stesso tempo il proprio incaricato d’affari a Stoccolma e sospendendo il permesso di lavoro alla multinazionale svedese Ericsson.
Decisioni, queste, prese praticamente in contemporanea con la protesta anti-islamica che si stava tenendo nella capitale del paese nordico, dove il Corano alla fine non è stato bruciato, ma è comunque stato preso a calci da un paio di manifestanti. Il tutto con il beneplacito delle autorità svedesi, che hanno preferito difendere la libertà di espressione piuttosto che le relazioni -diplomatiche, ma anche economiche- con Baghdad.
Ancora prima che il Governo iracheno potesse reagire, centinaia di persone convocate dal religioso sciita Muqtada al-Sadr avevano già preso d’assalto l’ambasciata di Stoccolma, dandola -questa sì- alle fiamme. E mentre la Svezia e suoi alleati occidentali esprimevano il proprio “sgomento” di fronte all’attacco, i paesi del mondo islamico -con Turchia e Iran in testa- attribuivano la responsabilità di quanto successo proprio alle autorità del paese scandinavo, ree secondo loro di aver permesso una manifestazione equiparabile a un vero e proprio “crimine d’odio”.