di Domenico D’Amico
La vendita della infrastruttura più importante dell’azienda italiana di telecomunicazioni più grande e strategica del Paese è andata come previsto: il CDA ha approvato la cessione al fondo speculativo statunitense KKR della infrastruttura fisica della rete telefonica, quella più critica e importante del settore, per 20 miliardi di euro. Non è stato necessario passare dall’assemblea degli azionisti e tutto è stato deciso dal consiglio di amministrazione. Prevedibili, secondo molti, le reazioni dell’azionista di maggioranza Vivendi – colosso francese – che già minaccia azioni legali. “Oramai è chiaro che i francesi vorrebbero sloggiare, ma evitando un salasso di minusvalenze rispetto all’investimento iniziale”, ha scritto il direttore di Startmag, Michele Arnese, “e magari trattare una ‘ricompensa’ su altri dossier italiani”. Fa certamente impressione vedere un asset strategico dell’economia nazionale e della vita sociale e politica italiana esser preda contesa di Francia e Stati Uniti: scenario purtroppo ormai comune sul suolo italico, diventato bazar e terreno di lotta di appetiti famelici, mercato di scambio e di compensazione alla mercé dell’offerente più abile e meno generoso. Come fa impressione sapere che nei vertici aziendali dell’acquirente siede l’ex Capo della Cia David Petraeus. Suonano quasi beffarde le trionfali parole di Pietro Labriola, amministratore delegato di TIM: “Due anni di lavoro a testa china – ha affermato Labriola – si chiudono con una decisione storica: dare il via alla nascita di due società con nuove prospettive di sviluppo. Entrambe saranno il punto di riferimento per la trasformazione digitale del nostro Paese perché, grazie a questa operazione, potranno accelerare lo sviluppo tecnologico nel settore delle telecomunicazioni”. Saranno infatti due le società create e vendute agli americani: Netco dove confluirà la rete fisica e dove il Ministero avrà una quota minoritaria del 20%, e ServiceCo nella quale tra le altre cose vi saranno inglobate Tim Brasile e Olivetti. Sullo stesso tono entusiastico il Governo, che con il 20% di quote ritiene di aver restituito al Paese il controllo della propria infrastruttura telefonica. Dice il Ministro Adolfo Urso “Il progetto del governo è stato chiaro sin dall’inizio al fine di consentire la piena connettività del territorio italiano con una rete nazionale efficiente e competitiva. Per questo il Mef ha partecipato all’offerta NetC”. Bi-pensiero orwelliano o totale incapacità di analisi politica e geopolitica? Oppure qualcosa di peggio, visto le sempre più importanti ingerenze americane sulle strutture più sensibili del Paese? Lapidarie ma molto più realistiche invece le parole di Franco Bernabè, due volte nel passato amministratore delegato dell’azienda: “Persa l’infrastruttura per l’azienda è la fine; il gruppo sarà venduto un pezzo alla volta”. La sensazione di un passaggio disastroso sul piano della sovranità e dell’autonomia dell’Italia è molto forte e purtroppo reale.