di Gionata Chatillard
Mentre Israele continua a massacrare i palestinesi di Gaza, la stampa occidentale torna a puntare il dito contro il programma nucleare iraniano, riferendo che gli ultimi rapporti dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica accusano la Repubblica Islamica di aver continuato ad aumentare le proprie scorte di uranio arricchito, fino a superare di ben 22 volte il limite stabilito dagli accordi del 2015. Un’intesa che fu revocata unilateralmente dall’Amministrazione Trump 3 anni più tardi, quando la Casa Bianca tornò nuovamente ad applicare pesantissime sanzioni contro il paese asiatico.
A preoccupare l’Agenzia Internazionale sarebbe in particolar modo l’uranio arricchito fino al 60%, un livello che secondo le potenze occidentali non sarebbe coerente con l’uso dell’energia nucleare per applicazioni civili. In sintesi, secondo l’organismo di controllo con sede a Vienna, Teheran sarebbe ormai vicino alla fabbricazione di 3 bombe atomiche. Dati comunque da prendere con le pinze, dal momento che la stessa Agenzia sostiene di non essere più in grado di verificare con precisione il programma nucleare iraniano dopo il fallimento delle trattative diplomatiche.
Oltre a ciò, è anche da sottolineare il fatto che il tasso con cui la Repubblica Islamica starebbe arricchendo uranio al 60% sarebbe comunque rallentato in modo considerevole negli ultimi mesi, probabilmente a causa dei negoziati avviati bilateralmente fra l’Iran e gli Stati Uniti, che lo scorso settembre avevano portato a uno scambio di prigionieri fra i due paesi.
Diverse fonti diplomatiche citate dalle agenzie occidentali sostengono che un’ulteriore intesa in questo campo è adesso altamente improbabile, soprattutto dopo l’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza. Secondo Teheran, che nega di voler costruire una bomba atomica, uno dei problemi principali per arrivare a un accordo è proprio Israele, a cui è stato permesso di diventare una potenza nucleare senza che la Casa Bianca facesse nulla per impedirlo, come si è permesso di ricordare nei giorni scorsi anche il presidente turco Erdogan, che di Washington è anche alleato.