di Domenico D’Amico
Si è parlato nei giorni scorsi su alcuni media israeliani, voci riportate anche in Italia e sui media internazionali, di forti pressioni di Tel Aviv fatte verso il Presidente egiziano Al Sisi con la mediazione di altri paesi occidentali: l’idea prospettata è quella di accogliere nella penisola egiziana del Sinai i profughi palestinesi di Gaza in cambio di un forte taglio del debito estero dell’Egitto. Il Cairo è difatti fortemente indebitato con l’estero, e le riserve in valuta pregiata sono pericolosamente al lumicino: pochi miliardi di dollari sono rimasti nei forzieri egiziani, sufficienti appena per 4-5 mesi; i creditori stranieri, i soliti fondi d’investimento di New York e le solite banche della City di Londra, oltre al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca Mondiale, son sempre più nervosi, con inflazione crescente a causa di una moneta nazionale svalutata e importazioni sempre più difficili da sostenere. L’Egitto, a titolo di esempio, dipende fortemente dall’Ucraina e dalla Russia per quanto riguarda le importazioni di grano e necessita poi di dollari anche per l’importazione di idrocarburi. Questo nonostante introiti in forte crescita da turismo, dal canale di Suez e anche da vendita di gas; questo è anche il motivo per cui l’Egitto sta provando a pagare in valuta diversa dal dollaro, con i Brics. L’Egitto è quindi una potenziale polveriera a livello sociale e politico, e l’eventuale proposta israeliana potrebbe essere di grande interesse per il governo egiziano, al di là delle dichiarazioni ufficiali di circostanza. Qualcosa del genere era successa anche con la Turchia, riguardo l’accoglienza nel 2016 dei profughi siriani, ‘disturbo’ pagato dall’Unione Europea con circa 3 miliardi di euro all’anno. Un simile argomento sembra sia stato usato, sotto forma di minaccia, con i greci, all’indomani del referendum del 2015, secondo quanto fatto capire da Varoufakis, ex ministro delle finanze greco: ‘o accettate le nostre condizioni oppure verrete invasi dagli immigrati africani e siriani’ sembra disse la Troika al governo Tsipras. E con il governo Renzi una cosa simile è successa tra Bruxelles e Roma: la firma dell’Italia degli accordi Frontex Plux e Triton ha scaricato sul Belpaese la responsabilità dei salvataggi in mare dei migranti, barattando il tutto con più tolleranza da parte dell’Unione Europea verso i conti pubblici italiani.
Il gioco quindi si ripete sempre uguale: il debito viene usato per imporre condizioni capestro dove risulta essere più utile ai creditori di New York, di Londra, di Bruxelles e, questa volta, di Tel Aviv. Un’arma politica e geopolitica quindi molto potente, capace di convincere anche l’interlocutore più tenace.