LEVANTE 28.11.2025 – Pace a tradimento e grazia per un genocida: l’Occidente implode
Il presidente del Comitato militare della Nato, l’italiano Giuseppe Cavo Dragone, in un’intervista al Financial Times, ha parlato per la prima volta di «attacchi preventivi» contro la Russia per rispondere alla guerra ibrida che sarebbe stata intrapresa da Mosca e sarebbe già in atto in Europa. Alcuni diplomatici, in particolare provenienti da Paesi dell’Europa orientale, non a caso, hanno esortato la NATO a smetterla di limitarsi a reagire e a contrattaccare. La portavoce del ministro degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha risposto a stretto giro: «Riteniamo che la dichiarazione sia un passo estremamente irresponsabile, che dimostra la volontà dell’alleanza di continuare a muoversi verso un’escalation». E ancora: «Consideriamo la dichiarazione come un tentativo deliberato di minare gli sforzi volti a trovare una via d’uscita alla crisi ucraina». A Miami intanto si è tenuto un nuovo round di colloqui tra le delegazioni ucraina e americana. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky non ha partecipato direttamente all’incontro, guidato invece da Rustem Umerov, segretario del Consiglio per la sicurezza e la difesa nazionale dell’Ucraina. La delegazione americana comprendeva l’inviato speciale Steve Witkoff, il segretario di Stato Marco Rubio e Jared Kushner. Per Kiev questi colloqui rappresentano un passaggio cruciale soprattutto in vista del viaggio a Mosca di Witkoff, che nei prossimi giorni dovrebbe incontrare i vertici russi, compreso lo stesso presidente russo Vladimir Putin. Il timore delle autorità ucraine è che Washington voglia definire con il Cremlino i punti più sensibili del piano di pace e soltanto in un secondo momento informare Kiev delle decisioni prese. Nel frattempo, dall’altra parte del Mediterraneo, il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha presentato al presidente Isaac Herzog una richiesta formale di grazia per porre fine ai tre procedimenti giudiziari (corruzione, regalie e forzature politiche legate alla copertura mediatica della sua persona) che lo coinvolgono dal 2020. A rendere il caso curioso, concorre il fatto che Bibi stia chiedendo la grazia prima della condanna, peraltro rifiutandosi di dichiararsi colpevole. Il risultato è un cortocircuito legale e procedurale che rende evidente la dimensione politica della partita. Le elezioni del 2026 – fissate a ottobre – si stanno infatti avvicinando e il primo ministro israeliano conta di affrontarle senza essere implicato in processi. Il suo governo potrebbe infatti concludersi con un triplice colpo: dopo l’imposizione di David Zini a capo dello Shin Bet, nelle prossime settimane tra le mani di Netanyahu passerà infatti anche la nomina del nuovo capo del Mossad, dato che il mandato di David Barnea – non esattamente un uomo del primo ministro – è agli sgoccioli. Bibi potrebbe dunque uscire da un genocidio non solo pulito dal punto di vista legale, ma anche con l’appoggio dei principali apparati d’intelligence. Ne parliamo con Moni Ovadia, attore, regista, musicista, Angelo d’Orsi, già professore di Storia del Pensiero politico presso l’Università di Torino, Alberto Bradanini, già ambasciatore italiano in Iran e in Cina, Margherita Furlan, giornalista.
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