di Margherita Furlan
Xie Feng, il nuovo ambasciatore cinese a Washington, è arrivato negli Usa da neanche una settimana e per la sua prima missione fuori da Washington ha scelto di fare visita nel Connecticut all’ex consigliere per la sicurezza nazionale ed ex segretario di Stato americano, Henry Kissinger, che ha compiuto cento anni il 27 maggio. Il breve comunicato dell’ambasciata cinese riporta che i due hanno intrattenuto un “approfondito scambio di opinioni sulle relazioni Cina-Stati Uniti e sulle questioni internazionali e regionali di interesse comune”. L’ex segretario di Stato, che dagli anni Settanta ha mantenuto rapporti durevoli con leader e funzionari cinesi, in recenti interviste a giornali internazionali si è detto molto preoccupato per le conseguenze di un confronto tra le due prime potenze mondiali. Dunque questa non è stata semplicemente una visita di cortesia. Da decenni infatti i mandarini amano consultare il vecchio stratega della politica estera e oggi cercano in lui moderazione. «Quello che manca di più alla politica degli Stati Uniti oggi è il pragmatismo unito alla razionalità di Henry Kissinger»: ha titolato nel suo editoriale il Global Times, giornale del Partito comunista di Pechino. Immancabile nel commento la definizione di «vecchio amico» del popolo cinese, che nel dizionario di politica mandarina è riservata alle grande personalità straniere che hanno contribuito all’ascesa della Cina. Con le sue missioni segrete del 1971, l’allora Consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca portò al disgelo tra Stati Uniti e Cina e nel 1972 portò Richard Nixon da Mao Zedong nella Città Proibita, cambiando la storia. Alla base della svolta l’accettazione da parte degli Stati Uniti dell’esistenza di «Una sola Cina», che comprende Taiwan. Ora invece, si lamenta il Global Times, «molti membri del Congresso Usa che non sanno nemmeno trovare Taiwan su una carta dominano le politica con le loro proposte anti-cinesi radicali». Il giornale comunista cita anche l’intervista concessa la settimana scorsa all’Economist durante la quale Kissinger ha detto che «il destino dell’umanità dipende dalla possibilità che America e Cina trovino un accordo». La guerra a Taiwan devasterebbe l’isola e l’economia mondiale e costerebbe alla Cina molti anni di crisi, mancato sviluppo e arretramento, avverte Kissinger. Per questo discutere non dispiace alla diplomazia di Pechino, che evidentemente sanno come influire, nel medio e lungo periodo, nei rapporti di forza internazionali. Anche a costo di parlare col peggior nemico dell’umanità. Ammesso che Kissinger sia tale per i cinesi. E questo forse lo vedremo presto nel dispiegarsi dei fatti del mondo.