di Gionata Chatillard
Da quando è diventato titolare degli Esteri nel 2013, Wang Yi ha sempre scelto l’Africa come primo scalo diplomatico dell’anno. Una tradizione che il ministro cinese ha rispettato anche nel 2024 facendo tappa in Egitto, Tunisia, Togo e Costa d’Avorio.
Al di là dei molteplici interessi economici e dei grandi progetti infrastrutturali che Pechino sta portando avanti con questi paesi, il tour diplomatico di Wang ha ovviamente anche una valenza geopolitica. Da un lato, perché la Cina intende cercare la sponda di queste nazioni sul dossier israelo-palestinese, questione sulla quale la Repubblica Popolare lavora da tempo per avere un maggior peso a livello internazionale. Dall’altro, perché Pechino si presenta a questi Stati come garante della multipolarità, ovvero come un Governo che -in netto contrasto col modello occidentale- si spende per la salvaguardia della sovranità, delle specificità e della dignità di ogni paese. Discorso, questo, che fa particolarmente breccia in una nazione come la Tunisia, ormai in aperta rotta di collisione con l’Unione Europea e il Fondo Monetario Internazionale. Ma anche in Egitto, paese profondamente colpito dalle conseguenze di un conflitto che sta bussando alle sue porte.
Proprio in Medio Oriente Pechino sta concentrando ultimamente buona parte dei suoi sforzi diplomatici ed economici. Mentre il ministro Wang prosegue il suo viaggio verso la Giamaica e il Brasile, la Cina continua infatti ad aggiudicarsi importanti fette della torta energetica irachena. Tant’è vero che, dopo aver recentemente sottratto alla statunitense ExxonMobil il gigantesco giacimento petrolifero di West Qurna 1, la compagnia statale PetroChina ha appena messo le mani anche sulle riserve di gas di Nahr bin Umar.
Il controllo di questi siti non ha solo una valenza economica, ma anche geopolitica. Assicurarsi i principali giacimenti della regione di Bassora consentirebbe infatti di aprire un collegamento senza soluzione di continuità tra l’Iran e le coste siriane. Un collegamento che per essere completato dovrebbe comprendere l’enorme giacimento di gas di Akkas, sul quale la Russia sta lavorando ormai da anni. Se il progetto andasse in porto, l’asse multipolare guidato da Mosca e Pechino si troverebbe a gestire un vero e proprio ponte terrestre fra Teheran e il Mediterraneo. Un corridoio che permetterebbe a questi paesi di aggirare le rotte attualmente controllate dall’Occidente. Ovvero di poter trasportare più facilmente verso ovest qualsiasi tipo di mercanzia, dal petrolio iraniano sotto sanzione a eventuali carichi di armi per gli alleati mediorientali minacciati dall’espansionismo occidentale.