di Margherita Furlan e Fabio Belli
Il New York Times ha pubblicato, sabato 15 giugno, la bozza del Trattato di pace tra Russia e Ucraina negoziato nella primavera del 2022.
L’ultima versione risale al 15 aprile di quell’anno. “I documenti sono stati forniti da fonti ucraine, russe ed europee, e confermati come autentici dai partecipanti alle conversazioni e da altre persone vicine a loro”, si legge nell’articolo del quotidiano statunitense.
Il cosiddetto “Trattato sulla neutralità permanente e garanzie di sicurezza per l’Ucraina” nominava Regno Unito, Cina, Russia, Stati Uniti e Francia “garanti della sicurezza dell’Ucraina come Stato permanentemente neutrale”.
Mosca aveva proposto anche la Bielorussia quale Stato garante, mentre Kiev aveva suggerito di aggiungere la Turchia nella lista.
Secondo il documento, Kiev si sarebbe impegnata a non partecipare a “conflitti armati dalla parte di uno Stato garante e/o di qualsiasi Stato terzo”, a non aderire a unioni militari e a non raggiungere accordi militari che contraddicessero lo status neutrale, oltre a non permettere il dispiegamento di armi e truppe straniere sul proprio territorio. Inoltre l’ucraina si impegnava a non permettere la creazione di basi e altre infrastrutture militari straniere, a non tenere esercitazioni militari con truppe straniere senza l’approvazione degli Stati garanti, mentre Mosca insisteva sull’assenza di addestramento delle truppe all’uso di armi nucleari e sul diniego al dispiegamento di armi nucleari nel Paese.
Entrambe le parti avevano concordato che le disposizioni non dovevano essere applicate alla Crimea e a Sebastopoli. La penisola doveva restare sotto il controllo russo ma senza che l’Ucraina lo riconoscesse. L’accordo includeva anche le disposizioni sulla dichiarazione della lingua russa come ufficiale in Ucraina, insieme all’ucraino, e il divieto del nazismo e del fascismo nel Paese, ma si precisava che Kiev “si rifiutava di affrontare” questi punti.
David Arajamia, uno dei negoziatori ucraini che ha partecipato ai colloqui di pace con la Russia, ha rivelato nel novembre dello scorso anno che il rifiuto da parte di Kiev dello status di neutralità, così come la pressione dell’allora primo ministro britannico Boris Johnson, sono stati i fattori decisivi che hanno costretto la parte ucraina a ritirarsi dal processo di pace. “Quando siamo tornati da Istanbul, Boris Johnson è venuto a Kiev e ha detto che non avremmo firmato nulla con loro. E che ‘andiamo in guerra’”, ha ricordato Arajamia.
Le pressioni esterne sarebbero dunque state le cause del fallimento dell’accordo di pace. Bisogna sconfiggere la Russia sul campo, allora come oggi. A farne le spese, in primis il popolo ucraino, poi quelli europei, ma che importa ai signori della guerra?