di Gionata Chatillard
L’ex premier Imran Khan, da tempo in rotta di collisione con l’establishment pachistano, è stato arrestato di fronte al tribunale dove si era recato per testimoniare in una delle numerose udienze che lo vedono coinvolto. A prenderlo in custodia è stato un corpo paramilitare, senza che la corte dalla quale il politico era uscito ne sapesse nulla.
Erano mesi che le autorità del paese asiatico provavano a mettere le mani sul leader del principale partito d’opposizione, il Movimento per la Giustizia del Pakistan. Tanto che il settantenne Khan, che ricoprì il ruolo di primo ministro dal 2018 al 2022, sostiene di essere vittima di una persecuzione giudiziaria. A impedire il suo arresto finora aveva però contribuito l’enorme seguito di cui gode in tutto il paese, dove centinaia di migliaia di persone si dimostrano sempre pronte a scendere in piazza per sostenerlo.
Proprio per questo, l’arresto di Khan ha dato il via a una serie di manifestazioni che sono presto degenerate in violenza. Difficile dire quanti siano i morti -si parla di decine-, mentre i feriti si contano probabilmente a centinaia. Diverse province hanno vietato tutte le manifestazioni, predisponendo blocchi stradali e sparando sulla folla con cannoni ad acqua e gas lacrimogeni. Le autorità pachistane hanno inoltre limitato l’uso di diversi social network per impedire ai seguaci di Khan di organizzarsi. Questi hanno fatto irruzione anche in una base dell’Esercito, distruggendo tutto ciò che hanno trovato sul loro percorso. Data alle fiamme anche la residenza dell’attuale primo ministro, che si trova a Londra, così come altre sedi istituzionali, mentre i sostenitori di Khan marciano su Islamabad. Particolarmente critica la situazione a Lahore, dove il clima è ormai di guerra civile.
La detenzione dell’ex premier –a cui ha fatto seguito l’arresto di diversi suoi collaboratori- si deve ufficialmente a un caso di corruzione, ma su di lui pesano accuse di tutti i tipi, compresa quella di terrorismo. In passato, Khan aveva attribuito il suo allontanamento dal Potere alla lunga mano degli Stati Uniti, puntando però il dito anche contro i vertici dell’Esercito pachistano. Il suo arresto getta adesso il paese in un clima di instabilità dagli esiti incerti e preoccupanti, dal momento che la nazione asiatica -dotata di armi nucleari- sta già affrontando una delle peggiori crisi economiche degli ultimi decenni, con un’inflazione record e riserve monetarie appena sufficienti a coprire le importazioni per un mese.
Intanto, il ministro dell’Energia del Pakistan ha riferito l’intenzione di sancire con la Russia accordi di lungo termine per la compravendita di petrolio. Non solo: Islamabad vorrebbe pagare usando yuan, la valuta della Repubblica Popolare Cinese.