di Margherita Furlan e Jeff Hoffman
23 anni dopo l’11 settembre, le prime truppe statunitensi schierate prima in Uzbekistan poi in Afghanistan stanno aspettando il riconoscimento dei danni subiti dall’uranio radioattivo. La punta di lancia delle forze speciali anti-terrorismo furono inviate in Uzbekistan i primi di ottobre 2001 da dove lanciarono le prime missioni contro i talebani in Afghanistan. Nei quattro anni successivi, più di 15mila militari statunitensi furono schierati a Karshi-Khanabad, base nota fra i militari con la sigla K2.
“I test effettuati evidenziano che l’uranio utilizzato non è uranio impoverito ma piuttosto un prodotto arricchito”, ha svelato il rapporto del Dipartimento della Difesa. I livelli di radiazioni documentati nel 2001 al K2 risultano 40mila superiori all’utilizzo di uranio naturale, ha affermato Arjun Makhijani, specialista in fusione nucleare e presidente dell’Institute for Energy and Environmental Research. Su 5mila militari interpellati almeno 1.500 hanno segnalato gravi condizioni di salute, tra cui tumori, problemi renali, ossei e al sistema riproduttivo.
Il Pentagono non ha però ancora riconosciuto la base uzbeka come luogo in cui sarebbe avvenuta l’esposizione di uranio arricchito. Così, mentre la portavoce della Casa Bianca, Kelly Scully, assicura che il presidente Joe Biden intende garantire ai veterani danneggiati da esposizioni tossiche i “benefici che hanno guadagnato e che si meritano”, i militari di stanza al K2 continuano a soffrire, mentre gli effetti dell’11 settembre continuano a mostrarsi a chi tiene gli occhi aperti davvero.